Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.
La tecnica di Rembrandt van Rijn - campione della Gouden eeuw, l’epoca d’oro della pittura olandese - è una delle più interessanti fonti di studio per artisti, restauratori e cultori della materia.
Van Eyck, introducendo la tecnica ad olio, diede il via a una rivoluzione che modificò l’idea stessa e le potenzialità della figurazione. Ma cambiare il mezzo fa cambiare inevitabilmente la cassetta dei colori. I fiamminghi rinnovarono, quindi, l’intera palette di pigmenti usati in pittura.
Se nella pittura bizantina il fondo oro è fondamentale in quanto spazio della luce, in quella italiana esso ha un valore più ornamentale. Il trionfo della prospettiva, poi, lo renderà via via obsoleto fino a farlo sparire.
I pigmenti, per la loro natura chimico-fisica e per il rapporto con il legante pittorico, possono alterarsi irrimediabilmente modificando l’aspetto originario di un dipinto. Questo è il caso della biacca, utilizzata da Cimabue negli affreschi di Assisi e virata dal bianco al nero.
I colori acrilici, immessi sul mercato dopo il 1950, liberarono la creatività degli artisti dai vincoli della pittura ad olio, dando inizio ad una rivoluzione.
Alcuni materiali hanno dominato la storia dell'arte per poi cadere in disuso quando un prodotto migliore veniva messo sul mercato. É il caso della biacca e dei suoi derivati, che, sebbene tra i pigmenti non avessero rivali per facilità di produzione e affidabilità, hanno la controindicazione di essere estremamente tossici per la salute.
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