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Dansaekhwa: dalla Corea con furore

del

When Process Becomes Form: Dansaekhwa and Korean Abstraction, inaugurata il 20 febbraio scorso alla Boghossian Foundation di Bruxelles, è solo l’ultima di una serie di mostre e di pubblicazioni che sta segnando la riscoperta, a livello internazionale, di un gruppo di artisti coreani per lungo tempo sottovalutati e oggi noto come Dansaekhwa. Termine che, in coreano, significa letteralmente  “Pittura monocromatica”. Raccolti sotto questa “etichetta” nomi attivi già dalla metà del XX secolo ma che, fino al 2014, erano quasi sconosciuti in Occidente, come quelli di Chung Chang-Sup, Park Seo-Bo, Kwon Young-Woo, Ha Chong-Hyun, Kim Whanki e Chung Sang-Hwa. Unica eccezione: Lee Ufan oggetto anche in Italia, già dalla metà degli anni Novanta, di varie mostre, ma sempre riferite alla sua attività all’interno del gruppo giapponese Mono-Ha. Poi una serie di esposizioni negli Stati Uniti, in Francia e in Italia, oltre alla presenza degli artisti di Dansaekhwa alle principali fiere d’arte del mondo, e quello che era stato un movimento ignorato dal collezionismo occidentale per decenni si è tramutato, durante il 2015, in un vero e proprio fenomeno internazionale.

 

Alla scoperta di Dansaekhwa

 

Spesso abbinato al Minimalismo occidentale, Dansaekhwa è oggi uno dei trend del collezionismo internazionale più interessanti del momento. Per saperne di più su questo gruppo di artisti, abbiamo intervistato Zoe Chun, responsabile delle comunicazioni alla Kukje Gallery di Seoul che, già dagli anni Novanta, è impegnata nella promozione dell’arte contemporanea coreana in occidente.

Nicola Maggi: Se non mi sbaglio, la parola Dansaekhwa è stata coniata attorno al 2000 e il gruppo, in passato, era noto come École de Seoul. Come mai questo nuovo nome?

Zoe Chun: «École de Seoul in realtà era il nome di una mostra guidata da un gruppo di artisti che oggi sono noti sotto il nome di Dansaekhwa. Le prima mostra di questo gruppo risale agli anni Settanta e allora furono messi insieme ad altri artisti a causa delle similitudini presenti nelle caratteristiche e nell’approccio delle loro pratiche individuali. Prima di Dansaekhwa è importante ricordare la Scuola di Baekseak che, letteralmente, significa Scuola del colore bianco. Era un movimento bastato su una pittura astratta piatta. Anche se Baekseak si traduce con “colore bianco” il loro lavoro, però, non riguardava unicamente il bianco, ma ruotava attorno al colore beak che è un colore caratteristico dei coreani, rappresenta una sentimentalità specifica della Corea. Le serie create da Park Seo-Bo negli anni Sessanta, ad esempio, sono tutte incentrate sul Baekseak».

N.M.: Qual è il contesto artistico e storico in cui nasce Dansaekhwa?

Z.C.: «La nascita di Dansaekhwa negli anni Settanta ha coinciso con un momento molto importante per la Corea. A vent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, la Corea era in pieno tumulto sociale sotto un governo militare molto autoritario. Un periodo animato da ferventi movimenti per la democrazia. Dal punto di vista artistico iniziano a fare la loro comparsa le prime mostre sperimentali d’arte, come Indipendent, École de Seoul, e nascono gruppi come Avant-Garde e Space and Time. La Corea del Sud, in particolare, fu il contesto in cui gli artisti incontrarono l’esempio liberatorio del modernismo occidentale e cercarono di rompere con la loro eredità culturale. Fu un’influenza che può essere descritta come la scoperta di un nuovo linguaggio dell’arte contemporanea, che prima non conoscevamo».

Un vista della mostra "Dansaekhwa" a Palazzo Contarini-Polignac di Venezia in occasione della 56a Biennale di Venezia.
Un vista della mostra “Dansaekhwa” a Palazzo Contarini-Polignac di Venezia in occasione della 56a Biennale di Venezia.

N.M.: Dagli anni Novanta si è soliti parlare di Dansaekhwa come di pittura monocromatica coreana. E’ corretto o è solo una semplificazione occidentale?

Z.C.: «Ad essere precisi Dansaekhwa in coreano significa, letteralmente, pittura monocromatica. Tuttavia, le implicazioni dei lavori di questo gruppo non riguardano solo il colore, o la sua mancanza. Si tratta di qualcosa di diverso. Questi artisti, infatti, usano colori come blu, rosso, giallo, marrone e grigio, ma la filosofia e le prospettive di ogni artista differiscono notevolmente tra di loro e solo da poco si è iniziato ad utilizzare il termine Dansaekhwa per identificarli. Ci sono ovviamente alcuni aspetti simili e le loro opere riflettono inevitabilmente le esperienze sociali e culturali di quel periodo, ma Dansaekhwa non nasce da una singola ideologia, metodo o discorso. Si tratta di una generazione di artisti che non può essere descritta solo nei termini della modernità occidentale. Dansaekhwa è il frutto dell’impatto della cultura occidentale sulla Corea, di come il modernismo occidentale ha influenzato il nostro Paese e le sue tradizioni. Questi artisti erano guidati da una pratica personale, non da una ideologia specifica a cui puntare. Credo che sia di vitale importanza avvicinarsi a Dansaekhwa enfatizzando la vita e gli ideali di ogni singolo artista».

N.M.: In alcune delle mostre più recenti Dansaekhwa è messo a confronto con il Minimalismo occidentale. Quali sono le principali differenza tra i due movimenti?

Z.C.: «Questo accade perché Dansaekhwa è decisamente minimalista e, a prima vista, le opere possono ricordare quelle del Minimalismo occidentale. Una volta che si dà un’occhiata più da vicino, però, è evidente che non si può parlare di Dansaekhwa semplicemente in termini di estetica minimalista. I materiali, le denominazioni dei colori e le azioni presenti in questi lavori sono al servizio di uno specifico obiettivo storico e sociale per ciascun artista. Per comprendere a pieno Dansaekhwa è importante comprenderne il contesto culturale».

Una vista della mostra "Dansaekhwa and Minimalism", attualmente in corso alla Blum & Poe di Los Angeles. Da sinistra a destra, lavori di: Richard Serra, Yun Hyong-keun, Ha Chonghyun, Richard Serra. Courtesy Blum & Poe.
Una vista della mostra “Dansaekhwa and Minimalism”, attualmente in corso alla Blum & Poe di Los Angeles. Da sinistra a destra, lavori di: Richard Serra, Yun Hyong-keun, Ha Chonghyun, Richard Serra. Courtesy Blum & Poe.

N.M.: Guardando al presente, quel è l’influenza (o eredità) di Dansaekhwa sulla scena artistica coreana contemporanea?

Z.C.: «Questa riscoperta di Dansaekhwa in senso internazionale, si rivelerà un punto di riferimento per i grandi artisti coreani di oggi. Questo è il più ampio contesto in cui Dansaekhwa deve essere sostenuto, si deve superare l’idea di Dansaekhwa come semplice gruppo di artisti. Piuttosto che discutere unicamente del suo valore di mercato, abbiamo bisogno di capire i contesti storici, culturali e sociali del movimento e analizzare il suo valore attraverso diverse prospettive».

 

I magnifici 7 di Dansaekhwa

 

Chung Sang-Hwa (n. 1932) – La ripetizione e il processo sono temi centrali nell’opera di Chung Sang-Hwa, i cui lavori sono in grado di suscitare una potente sensazione di calma. Il lavoro di Chung Sang-Hwa è il risultato di una laboriosa tecnica che porta a un’unità profonda tra l’artista e l’opera d’arte. Il processo impiegato è il seguente: l’artista prepara una base con un primer di zinco sulla tela, dunque piega la tela seccata secondo intervalli regolari e rimuove i frammenti di pittura dalle linee spaccate, riempiendo successivamente quei vuoti con pittura acrilica. La delicata applicazione di pittura lungo le spaccature sottili conferisce loro profondità emotiva e le rende simili alle fessure capillari della pelle umana, evocando così la capacità del corpo di curarsi e rigenerarsi. Chung Sang-Hwa è molto conosciuto non solo in Corea, ma anche in Francia e in Giappone.

Chung Sang-Hwa, Untitled 90-10-20, 1990. Acrylic on canvas, 102 x 65.5 cm. Courtesy of the artist and Kukje Gallery.
Chung Sang-Hwa, Untitled 90-10-20, 1990. Acrylic on canvas, 102 x 65.5 cm. Courtesy of the artist and Kukje Gallery.

Ha Chong-Hyun (n. 1935) – Ha Chong Hyun lavora con tessuti semplici come la canapa spingendo lungo il lato posteriore della tela una pittura densa. L’interesse di Ha Chong Hyun per i toni tenui della canapa emerge nelle sue opere a partire dagli anni Settanta, quando l’artista esplora coraggiosamente materiali non tradizionali come il gesso, la carta di giornale, il filo spinato e la tela di iuta utilizzata per trasportare aiuti alimentari dagli Stati Uniti dopo la Guerra di Corea. Ha Chong Hyun ha utilizzato la pittura a olio sintetizzando le tradizioni pittoriche di Oriente e Occidente. La sua tecnica di spingere la pittura attraverso il lato posteriore della tela rimane come segno di potenza, ancor più per la bellezza formale del gesto sottile che viene catturato e reso evidente adottando questa pratica.

Ha Chong-Hyun, Conjunction 86-002, 1986. Oil on hemp cloth, 40 x 110 cm. Courtesy of the artist and Kukje Gallery
Ha Chong-Hyun, Conjunction 86-002, 1986. Oil on hemp cloth, 40 x 110 cm. Courtesy of the artist and Kukje Gallery

KIM Whanki (1913-1974) – KIM Whanki ha studiato in Giappone in gioventù e ha passato gran parte della sua vita lavorando e vivendo fuori dalla Corea. In quanto pittore appartenente alla prima generazione di artisti interessati all’astrattismo, KIM Whanki ha sviluppato uno stile raffinato di pittura ispirato al lirismo coreano, ottenendo riconoscimenti a Parigi, New York e Seoul. Iniziando a lavorare alla fine degli anni Trenta, KIM Whanki è stata una figura pionieristica nell’ambito dell’astrattismo coreano e di conseguenza un riferimento nella scena della storia dell’arte moderna in Corea. Già negli anni Cinquanta coltiva un ricco linguaggio visivo mediante il quale raffigurare motivi naturali di montagne, fiumi e la luna. Il suo periodo di massima produttività si colloca tra il 1956 e il 1959 a Parigi.

KIM Whanki, 17-IV-71 # 201, 1971. Olio su Cotone. 254x202 cm (Dalla serie Where, in What Form, Shall We Meet Again). Courtesy Whanki Foundation - Whanki Museum.
KIM Whanki, 17-IV-71 # 201, 1971. Olio su Cotone. 254×202 cm (Dalla serie Where, in What Form, Shall We Meet Again). Courtesy Whanki Foundation – Whanki Museum.

Kwon Young-Woo (1926-2013) – Kwon Young-Woo ha impregnato la carta – suo medium prediletto – di forti emozioni. Considerato un pioniere nello sviluppo di Dansaekhwa, le sue opere esplorano il rapporto tra i materiali tradizionali e l’espressione astratta. Durante i primi anni della sua carriera, Kwon Young-Woo ha lavorato con l’inchiostro e con la carta, cercando di creare un’armonia autentica tra i due. A partire dall’inizio degli anni Sessanta lavora esclusivamente con la carta, sfidandone la tradizionale definizione di supporto bidimensionale. Utilizzando le unghie per graffiare e strappare fogli sottili, l’artista sovrappone e incolla la carta in multipli strati laminati, creando sculture tridimensionali dinamiche ad altorilievo. Kwon Young-Woo ha inoltre sfruttato l’assorbenza della carta applicando l’inchiostro lungo i bordi strappati delle sue composizioni.

Kwon Young-Woo, Untitled, 1984. Gouache, Chinese ink on Korean paper, 259 x 162 cm. Courtesy of the artist’s estate. Image provided by Kukje Gallery.
Kwon Young-Woo, Untitled, 1984. Gouache, Chinese ink on Korean paper, 259 x 162 cm. Courtesy of the artist’s estate. Image provided by Kukje Gallery.

Lee Ufan (n. 1936) – Lee Ufan è artista e filosofo. Ha composto il testo fondante per la definizione di Mono-ha e numerosi contributi critici. Dopo essersi trasferito in Giappone, Lee Ufan ha viaggiato molto tra i due paesi, divenendo un tramite fondamentale tra ciò che stava accadendo in entrambi i luoghi e giocando un ruolo decisivo per la diffusione di Dansaekhwa presso il pubblico internazionale. Le sue serie From Line (Dalla Linea) e From Point (Dal Punto), avviate nei primi anni Settanta, hanno rappresentato il primo contatto dell’artista con Dansaekhwa. In queste celebri opere Lee Ufan esplora i temi del gesto e del legame tra la produzione di segno e il mezzo stesso della pittura. Questo interesse ha origine nella tradizione calligrafica che implica una ferrea disciplina del disegno e del tratto che consiste nella stesura ripetitiva di singole linee, questo spiega così la profonda investigazione dell’atto di dipingere da parte dell’artista.

Lee Ufan, From Point, 1974. Oil on canvas, 160 x 130 cm. Photo: Sang-tae Kim. Courtesy of the artist and Kukje Gallery.
Lee Ufan, From Point, 1974. Oil on canvas, 160 x 130 cm. Photo: Sang-tae Kim. Courtesy of the artist and Kukje Gallery.

Park Seo-Bo (n. 1931) – Le straordinarie opere di Park Seo-Bo riflettono cinquant’anni di investigazione sul ruolo dell’artista come canale attraverso cui l’energia si manifesta in forma. Tra i più influenti artisti della moderna storia coreana, Park Seo-Bo usa la carta tradizionale coreana ed impiega gesti semplici ma drammatici che alludono a un linguaggio semplificato. Esprimendo molti dei concetti fondamentali di Dansaekhwa, Park Seo-Bo ha perseguito la concezione dell’artista come tramite. Questa profonda fede nella capacità dell’artista di fondersi con il medium riflette la pratica di Seo-Bo tesa a illustrare i pattern d’energia che compongono la coscienza, evocando quel che egli chiama ritmo corporeo. Park Seo-Bo è stato ampiamente acclamato come illustre professore presso la Hongik University di Seoul, città della quale è diventato successivamente preside dell’Accademia di Belle Arti.

Dansaekhwa - Park Seo-Bo, Ecriture No. 5-78, 1978. Foto: Hyun Soo Kim. Courtesy: Kukje Gallery.
Park Seo-Bo, Ecriture No. 5-78, 1978. Foto: Hyun Soo Kim. Collezione privata. Courtesy: Kukje Gallery.

Chung Chang-Sup (1927-2011) – L’eccezionale opera di Chung Chang-Sup è stata definita “pittura non dipinta”: l’artista modella la tradizionale carta coreana Tak dopo averla immersa nell’acqua. I pigmenti non vengono aggiunti sulla carta e le variazioni di tono che si manifestano nelle opere sono dovute alla quantità di tempo in cui la carta rimane immersa nell’acqua prima che venga applicata al supporto in tela con colla fatta a mano. L’opera di Chung Chang-Sup riflette la credenza taoista per cui l’artista è in grado di bilanciare materiale e natura in un atto unificato di creazione. A lungo considerato emblema della cultura coreana, la carta Tak è prodotta dalla corteccia del gelso e rappresenta la semplicità e l’aspra bellezza rese preziose dalla tradizione.

Chung Chang-Sup, Meditation 91108, 1991, Tak (best fiber) on canvas, 110 x 200 cm. Courtesy of the artist’s estate and Kukje GalleryChung Chang-Sup, Meditation 91108, 1991, Tak (best fiber) on canvas, 110 x 200 cm. Courtesy of the artist’s estate and Kukje Gallery
Chung Chang-Sup, Meditation 91108, 1991, Tak (best fiber) on canvas, 110 x 200 cm. Courtesy of the artist’s estate and Kukje Gallery

 

Mercato: tutti “pazzi” per Dansaekhwa

 

Secondo quanto riportato da Artsy, i prezzi di questi artisti sul mercato primario sono cresciuti, mediamente, del 200% a partire dal settembre 2014. E un trend simile lo si è registrato, lo scorso anno, anche nelle aste internazionali, dove sempre più mercanti e collezionisti occidentali si sono contesi i lavori di questi artisti, generando una serie di nuovi record per i principali artisti di Dansaekhwa. In primo luogo Park Seo-Bo: le opere della sue serie più importante, Ecriture, sono passate in pochi mesi da aggiudicazioni di poco al di sopra dei 55 mila dollari – dicembre 2014 – agli 838.633 $ del novembre scorso. Artefici di questo rilancio, un gruppo di gallerie coreane che, già dagli anni Novanta, lavorano in squadra per promuovere questo gruppo di artisti e per portare il loro lavoro all’attenzione di un numero sempre maggiore di collezionisti e operatori occidentali.  Un lavoro che sta ottenendo ottimi frutti se si pensa che solo alla metà di gennaio sono state aperte ben tre mostre dedicate agli artisti di Dansaekhwa: Park Seo-Bo, Ecriture (1967-1981) alla White Cube di Londra, che rappresenta la prima personale inglese dell’artista sudcoreano; Dansaekwha and Minimalism alla Blum & Poe di Los Angeles e la già citata Dansaekhwa and Korean abstraction, alla Boghossian Foundation di Bruxelles, la prima retrospettiva belga dedicata al gruppo coreano.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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