Capitolium Casa d’Aste è una delle realtà più dinamiche del settore in Italia, con una storia che affonda le radici nel 1988, quando Rudiano Rusconi decise di fondare l’azienda a Brescia.
Da allora, l’attività si è evoluta, passando dall’antiquariato alle arti moderne e ampliando progressivamente i suoi dipartimenti.
Oggi, Capitolium si distingue per una visione imprenditoriale innovativa, capace di coniugare tradizione e tecnologia, con un forte orientamento verso i mercati internazionali.
L’avvento dell’online ha trasformato il modo di vendere e acquistare opere d’arte, rendendo il settore sempre più competitivo e globale.
In questa intervista, Gherardo Rusconi racconta il percorso di crescita dell’azienda e le nuove sfide del collezionismo contemporaneo.
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Gino Fienga:Partiamo dalla storia di Capitolium. Quando e come nasce?
Gherardo Rusconi: La casa d’aste nasce nel 1988, ma mio padre lavorava nel settore fin dagli anni ’60. Ricordo le aste organizzate in ville sperdute nelle campagne italiane, con tendoni improvvisati nei giardini per liquidare beni nobiliari prima della vendita delle proprietà. Nel 1988, mio padre decise di stabilire Capitolium a Brescia, nel Palazzo Cigola Fenaroli Valotti. Per vent’anni ha organizzato aste di antiquariato, ma con la crisi economica e il calo dell’interesse per il settore, io e mio fratello Giorgio abbiamo rilevato l’attività nel 2008. Io, appassionato di arte moderna, ho aperto un nuovo dipartimento, mentre Giorgio ha continuato con l’antico. Negli anni abbiamo ampliato l’offerta con design, gioielli, numismatica e molto altro. Oggi Capitolium è una casa d’aste internazionale e il lavoro ci appassiona sempre di più.
G.F.: La strategia vincente è quindi diversificare piuttosto che concentrarsi su un solo settore?
G.R.: Sì, ma è una sfida complessa. Ogni settore del collezionismo è molto specializzato e richiede competenze specifiche. Noi vediamo Capitolium come una piattaforma capace di integrare qualsiasi oggetto da collezione, mantenendo però un metodo comune di approccio al pubblico. Il segreto è trovare esperti competenti e costruire un rapporto di fiducia con i clienti. Spesso chi vende un’opera non ne conosce il valore reale, ed è nostro compito educarlo e garantire al compratore la massima trasparenza. Inoltre, chi arriva per i gioielli finisce per interessarsi ai quadri e viceversa, permettendoci di ottimizzare magazzini, logistica e sedi territoriali, come quelle di Roma e Torino.
G.F.: Come hai visto cambiare il mercato e i collezionisti dagli anni ‘80 a oggi?
G.R.: Negli anni ‘80 c’era più leggerezza e più ricchezza. Oggi bisogna prestare grande attenzione alle provenienze e alla correttezza delle informazioni. Internet ha rivoluzionato il settore, rendendo l’accesso ai dati più immediato e aumentando le esigenze dei collezionisti. L’Italia è ancora indietro rispetto a paesi come Francia, Inghilterra e Stati Uniti, ma ci sono molte opportunità per nuovi collezionisti. I giovani si orientano su orologi e design, ma l’arte moderna resta il settore più forte.
G.F.:Quali sono le principali sfide di oggi per una casa d’aste?
G.R.: La specializzazione è fondamentale, soprattutto in settori ad alto rischio di falsificazioni, come ad esempio i vetri. Noi abbiamo avuto la fortuna di collaborare con Francesco Toniato Giacometti, un esperto riconosciuto nel settore. L’ultima asta di vetri ha superato del 120% le riserve e non ha avuto contestazioni, dimostrando quanto sia cruciale una struttura solida. Inoltre, dobbiamo fare i conti con una burocrazia sempre più complessa, dagli attestati di libera circolazione delle opere ai vincoli di restituzione dei beni archeologici. Una struttura ben organizzata è essenziale per offrire un servizio di qualità al nuovo collezionista.
G.F.: Secondo te quanto si è spostato l’ago della bilancia dalla passione all’attenzione all’investimento?
G.R.: Secondo me, l’attenzione all’investimento non è il dato che maggiormente incide. Oggi il collezionista ama rischiare, e da quel punto di vista c’è una sorta di feticismo sull’oggetto che porta il collezionista a identificarsi esclusivamente come tale e non come appassionato. Spesso questa esagerata attenzione all’anno, al periodo, alle condizioni fisiche dell’opera (al condition report, per intenderci) lo allontana dalla pura passione.
L’appassionato, che spesso ha ragione anche dal punto di vista economico, non è così ossessionato dai dati tecnici, ma si lascia trascinare dalla qualità dell’opera. Dopo 16 anni in questo dipartimento di arte moderna, mi rendo conto che le scelte migliori sono state fatte da chi ha usato la passione. Quando selezioniamo opere, lavoriamo su diversi livelli di aste e cataloghi, e le mie aste preferite sono quelle di fascia alta.
Cerco di selezionare per qualità, anche preferendo artisti meno noti o meno di moda ma con opere di grande valore. Ad esempio, tra due opere dello stesso artista, se una è più grande o di un anno migliore ma ha meno qualità, preferisco comunque l’altra. Questa strategia, col tempo, ha premiato e viene compresa dai collezionisti.
Un altro aspetto importante è la modalità di vendita. Io conduco le aste in modo piuttosto “all’italiana”, condividendo con il pubblico informazioni e impressioni. Oggi, grazie a internet e alle dirette video, possiamo interagire con chi segue l’asta, creando un dialogo. Preferisco questo approccio a quello più freddo e competitivo tipico delle aste anglosassoni, dove tutto si basa sulla gara e sull’effetto sensazionalistico. E devo dire che ci divertiamo così.
G.F.: A proposito di online, come ha cambiato la vendita? Continuate a fare aste in presenza, ma quanto si è spostato il fatturato sull’online?
G.R.: Noi siamo nati come una casa d’aste di provincia, con sede principale a Brescia. Un riferimento importante per noi è stato Meeting Art, la prima casa d’aste che ha mantenuto la sede in provincia (a Vercelli) e ha utilizzato la televisione per raggiungere un pubblico più ampio.
Negli anni ’90, le sale d’asta erano piene di gente; oggi invece abbiamo solo quattro-cinque persone in sala, massimo dieci. L’online domina completamente il mercato. In una nostra asta mediamente seguita, abbiamo 500-600 persone collegate, tra dirette su diverse piattaforme e offerte telefoniche.
Non è più pensabile avere 600 persone fisicamente in sala! Tutte le nostre aggiudicazioni più importanti avvengono online. L’online ci ha anche aperto all’estero, soprattutto dopo la crisi economica del 2008, che ha rivoluzionato il settore. Le case d’asta erano già attrezzate per questo passaggio, mentre molte gallerie si sono trovate spiazzate.
G.F.:Quali sono i vostri principali mercati? Rimane sempre l’Italia?
G.R.: Il 50% del nostro fatturato è estero, soprattutto Francia, Germania, Inghilterra e Svizzera. I top lot spesso spostano fette significative del fatturato. Se guardiamo solo la fascia alta delle aggiudicazioni, l’80% va all’estero. In Italia vendiamo soprattutto opere di fascia medio-bassa, mentre le opere più importanti vengono acquistate da collezionisti stranieri.
Questo dipende da diversi fattori: capacità economiche, mentalità e legislazioni diverse. In Italia c’è più paura di fare acquisti importanti. Non è che non esistano collezionisti in grado di acquistare opere di alto livello, ma spesso questi collezionisti italiani comprano all’estero. Quelli che abbiamo fidelizzato li seguiamo con attenzione, condividendo con loro i lotti più importanti prima dell’asta, ma sulla massa è il mercato estero a dominare.
G.F.: E per quanto riguarda il reperimento delle opere? È diventato più difficile rispetto agli anni ’80-’90?
G.R.: Negli anni ’80 e ’90 la ricerca era più facile perché vendere non era un problema. Una volta pronto il catalogo, sapevi che avresti venduto bene o male tutto. Questo permetteva di offrire prezzi che il committente accettava più facilmente.
Il 2008 ha cambiato tutto. La perdita di capacità d’acquisto ha portato alla necessità di un turnover più alto, passando dal modello italiano (alti margini, basso turnover) a un modello più vicino a quello tedesco (bassi margini, alto turnover).
Noi eravamo già pronti, avendo già investito in tecnologia, pubblicità online e indicizzazione su Google. Abbiamo iniziato a raccogliere proposte di valutazione da tutta Italia e a viaggiare per reperire opere. È stato un lavoro faticoso, ma anche divertente, che ci ha portato a conoscere tantissime realtà e creare rapporti duraturi con collezionisti e venditori.
All’inizio eravamo in due, oggi abbiamo 15 agenti che girano il territorio, seguendo le richieste e concludendo trattative. Il metodo è stato perfezionato nel tempo, ma lo utilizziamo ancora oggi con ottimi risultati.
G.F.: Il 2024 che anno è stato in generale? E per voi?
G.R.: Che anno è stato il 2024? Ogni anno ormai è l’anno di un nuovo obiettivo da raggiungere. Uscivamo dal Covid, che è stato un grande terrore, ma che poi, nel nostro settore come in altri, ha portato maggiore consapevolezza tecnologica e affiliazione ai mezzi di commercio online. Se prima si faceva fatica a usare la carta di credito, ormai è diventata una prassi. Ricordo che durante la pandemia eravamo indecisi se continuare a fare aste o fermarci. Abbiamo deciso di essere presenti e abbiamo venduto benissimo, svuotando i magazzini. Il problema è stato che non potevamo consegnare subito, ma appena è stato possibile, abbiamo ripreso e abbiamo visto un miglioramento significativo.
Si pensava che, dopo l’euforia successiva a tutte le misure economiche adottate, il 2024 sarebbe stato un anno di assestamento. Per questo avevamo deciso di riorganizzarci, investendo in intelligenza artificiale, migliorando l’aspetto organizzativo interno, assumendo nuove persone e potenziando i dipartimenti più forti, come il moderno, il design e i condition report. Abbiamo anche assunto un responsabile IT e promosso un nostro agente a responsabile commerciale. L’obiettivo è stato quello di aumentare la qualità del prodotto e del nostro modo di proporci.
Inaspettatamente, siamo cresciuti di un 10% sul fatturato. Mi sembra un trend generale nel settore. Il 2024 si è chiuso in modo un po’ stanco, ma il 2025 è iniziato molto bene, con tanta euforia e tanto lavoro. Vediamo come andranno le aste. Se tutto va come negli anni precedenti, dovremmo raccogliere i frutti del lavoro fatto l’anno scorso. Abbiamo sempre avuto una crescita costante e, nonostante ogni anno si pensi che ci possa essere una grande variazione, statisticamente ci attestiamo su una condizione favorevole.
Per quanto riguarda il mercato internazionale, notiamo una crisi economica in Cina. Le grandi major facevano risultati straordinari laggiù, con prezzi molto più alti rispetto all’Occidente. Se quella fascia di mercato va in crisi, potrebbe esserci una ricaduta sulle fasce di prezzo inferiori, e noi potremmo averne beneficiato in parte. Inoltre, l’arte viene sempre più vista come un bene rifugio: se devo investire e rischio di perdere soldi, almeno lo faccio con qualcosa di bello e affascinante. Comprare all’asta è divertente, c’è un coinvolgimento emotivo. Vediamo come andrà.
G.F.:Quali sono i vostri progetti? Cosa bolle in pentola?
G.R.: Riprendo il discorso della riorganizzazione della casa d’aste. Vogliamo gestire un volume di lavoro più grande con una struttura adeguata, che ci permetta di lavorare senza affanno e in modo più efficiente. Abbiamo investito in pubblicità, in nuove risorse e in nuove sedi.
Stiamo aprendo una nuova sede a Firenze, dove abbiamo già un responsabile che sta portando buoni contatti. A Roma, invece, abbiamo appena raddoppiato la nostra sede, acquisendo lo spazio attiguo. Questo ci permetterà, forse, di organizzare alcune aste direttamente lì. Roma è una città strategica: è la più grande d’Italia, ha una storia di ricchezze e grandi collezioni, e vediamo che un flusso importante di opere passa da lì. Vogliamo sviluppare soprattutto il settore gioielli e arte moderna, ma anche l’antico, per il quale abbiamo appena preso un nuovo consulente molto preparato. Abbiamo anche acquisito una nuova figura per il moderno.
In generale, il nostro sistema di agenti sta funzionando molto bene. Noi li chiamiamo così, anche se nel settore delle aste si parla di representatives o mediatori. Per noi sono agenti perché sviluppano opportunità su base territoriale, offrendo valutazioni ai clienti e seguendoli nel processo. Vediamo come andrà, ma siamo fiduciosi.
G.F.:Quali sono secondo te le tendenze del mercato dell’arte moderna e contemporanea? Quali saranno gli artisti che prenderanno il sopravvento nei prossimi anni?
G.R.: Il mercato punta sulle grandi certezze, sugli artisti storicamente consolidati. Ci sono sempre piccole mode passeggere, che però a volte hanno creato disastri: collezionisti che hanno investito in tendenze effimere e oggi si ritrovano con valutazioni dimezzate o più. Ma se compri un Morandi, non sbagli mai. Se compri un Andy Warhol al giusto prezzo, non sbagli. Salvo è stato un exploit economico, ma il suo caso dimostra che dietro c’era una struttura solida: un archivio, gallerie di riferimento, un mercato consolidato. Un artista che arriva a valere un milione di euro non scende più sotto una certa soglia: magari salirà o scenderà, ma non crolla.
Oggi il mercato non è più quello degli anni ’80, dove si poteva comprare e rivendere subito al doppio. Ora bisogna essere prudenti, affidarsi ai giusti consulenti e avere il coraggio di tenere le opere nel tempo. La qualità e la storicità sono fondamentali. Il collezionista che segue queste logiche, col tempo, si accorge di aver fatto le scelte giuste. In sintesi, bisogna puntare sulle opere belle, sicure e con una solida storicità.
G.F.:Qual è il futuro di Capitolium?
G.R.: Continueremo a crescere, mantenendo il nostro approccio multidisciplinare e internazionale. Il collezionismo è in continua evoluzione, e il nostro obiettivo è rimanere sempre un punto di riferimento nel settore.