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Mercato dell’arte: la versione di Wanda

del

«Concludo con questo mese di dicembre un lungo e appassionante giorno per giorno tra le aste d’arte». Arriva così, a pochi giorni da uno dei Natali più strani dell’epoca moderna, l’abbraccio virtuale con cui Wanda Rotelli, “voce” storica di Sotheby’s Italia, annuncia a tutti noi giornalisti il suo pensionamento.

Per il sottoscritto, ma credo per molti, Wanda è stato uno degli incontri migliori fatti nel lucciacante mondo dell’arte moderna e contemporanea, sia per umanità che per professionalità. Capite bene che non potevo certo lasciarla andare via così, senza neanche un’ultima chiacchierata “ufficiale”.

Eccola, allora, la nostra conversazione… uno sguardo su 25 anni di mercato dell’arte dato dal punto di vista privilegiato di chi ne ha seguito la comunicazione prima nella storica Finarte e poi in casa Sotheby’s.

Nicola Maggi: Cosa ti mancherà di più del mondo delle aste?

Wanda Rotelli: «Sicuramente il magazzino delle case d’asta, arrivare in ufficio la mattina e scoprire, ancora mezzo imballato, un nuovo arrivo, guardarlo, giocare a indovinarne l’autore, in caso di quadro antico provare a dargli un’epoca, avvicinarti a un’attribuzione… e poi sapere che ti verrà “affidato” per la sua comunicazione e per il suo prossimo passaggio in un’altra collezione, perché il mercato è una storia infinita di passaggi, alcuni entusiasmanti altri meno…».

N.M.: Tu hai iniziato giovanissima in Finarte… come è stato il primo incontro col mercato dell’arte?

W.R.: «La Finarte della seconda metà degli anni Ottanta – quella per intenderci di Casimiro Porro e di Francesco Micheli – era uno dei luoghi più fertili per un giovane, potevi confrontare recenti studi di storia dell’arte alla quotidiana “pratica” mercantile e si aveva il frequente privilegio di incontrare – soprattutto il tardo pomeriggio – letterati e storici dell’arte come Giuliano Briganti, Federico Zeri, Giovanni Testori, Carlo Volpe, Paolo Volponi (amico di mio padre, architetto dell’Olivetti), Mauro Natale e tanti altri. Tante le meraviglie di pittura incontrate… che diventavano poi delle figurine colorate da ritagliare per fare – con Daria Porro – un primo menabò dei vari cataloghi. Difficile scegliere… ricordo con trasporto Il Romanzo di una Cucitrice di Boccioni, credo sia stato in asta alla fine degli anni Ottanta».

N.M.: Nel 1991 arriva poi la proposta di Sotheby’s. Come è nato tutto?

W.R.: «Si era in piena recessione post boom giapponese… Beh, ho seguito la fulgida scia di Claudia Dwek, oggi negli alti ranghi europei della casa d’asta, anche lei allora in Finarte come me.

La cosa più emozionante di quell’ingaggio fu il colloquio pro-forma fatto a Londra – e durato pochi minuti – con l’affascinante (così mi parve) Grey Gowrie, chairman di Sotheby’s e presidente dell’Arts Council of England. Allora i personaggi nelle case d’asta erano questi… meno finanza, più allure».

N.M.: Certo fu un bel salto… come cambiò il tuo lavoro in quel momento?

W.R.: «Sai, in Finarte stavo bene, ma dopo sette anni o giù di lì, cominciavo a rivedere quadri già passati in asta… a me piace la comunicazione, non mi pesa stare al telefono, ma era ed è l’argomento da “diffondere” che mi interessa.

Dopo pochi mesi fui “premiata” dalla notizia bomba – per il mercato – che a New York sarebbe passato nuovamente in asta Les Grosses Pommes di Cézanne che nel 1958 fu uno dei Magnifici Sette della vendita Goldschmidt, una delle tante “rivoluzioni” – resa volutamente spettacolare da quel mix di idee (e rischi) che animava l’energia di Peter Wilson e che avrebbe mutato la scena dell’asta».

N.M.: 1991-2021… in 25 anni il mercato dell’arte è cambiato enormemente. Ci sintetizzi, dal tuo punto di vista privilegiato, le tappe che per te hanno segnato maggiormente questo cambiamento?

W.R.: «E’ cambiato tutto, i tempi attuali sono stra-concitati, i contatti sono sempre più virtuali, se vuoi facili, rapidi, ma meno costruttivi, meno appassionanti, meno nutrienti… poi la recentissima svolta verso il cosiddetto luxury… che non “sento”, non mi interessa, oggi le interviste dei grandi quotidiani americani non sono rivolte agli esperti, ai senior specialist, ma ai data managers, ai responsabili tecnici delle efficacissime piattaforme.

Anche le figure dei guest curators, gente che spesso viene dalla moda, che “firmano” le vendite di contemporaneo schiacciano in un angolo l’esperto di un’asta, per la conquista massiccia dei canali social. L’art-marketing, sempre avido di innovazioni, ha ridimensionato le tradizionali professioni di ricerca, dall’ufficio stampa a quello – già costitutivo, spina dorsale delle case d’asta – degli esperti. E poi Stan batte Twombly, a quando il Banksy di Show me the Monet che batte Monet?

Tra i lati positivi della mutazione, per indicarne uno, è che il mondo delle aste è diventato sempre più femminile e non solo quello di facciata».

N.M.: In questa trasformazione cos’è che si è perso per strada?

W.R.: «Ma è più che una trasformazione! L’invenzione a giugno 2019 della prima asta ibrida, vera e propria – salvifica peraltro – risorsa di tecnologia e insieme show, messo a punto in pieno primo round Covid, quella per intenderci del Bacon, ormai è acquisita, anche quando si tornerà in giro senza mascherina. Un set da fiction: una spruzzata di reale qui, vedi il martello che da 270 anni rotea sulle sale d’asta, e molto virtuale là… e poi 22 telecamere, i poveri esperti truccati sapientemente come “regine degli scacchi”…».

N.M.: C’è un momento della tua carriera che non dimenticherai mai?

W.R.: «Beh certo..era il 2002 o 2003… pare che Barbara Piasecka Johnson avesse posto tra le condizioni per l’affido in asta della Discesa al Limbo di Mantegna che il dipinto potesse soggiornare qualche giorno a Mantova, prima di andare battuto a New York. La cosa mi piacque molto devo dire, ma solo a tale scopo la sede americana avrebbe mandato il quadro in Italia.

Si cominciò dunque a cercare affannosamente in città un luogo degno del pittore, ma le autorità preposte ci dissero picche… mai con il mercato! Quindi l’ipotesi, purtroppo, stava per sfumare nelle nebbie, quand’ecco che ricevo una telefonata dalla segreteria del vescovo di Mantova che aveva avuto il mio contatto dal responsabile cultura della Gazzetta di Mantova: il vescovo offre le sale del Museo Diocesano della città!

Nella mia dabbenaggine piemontese mi son commossa e ho balbettato poche parole di ringraziamento… Dunque La Discesa sarebbe tornata, seppur per qualche giorno».

N.M.: …e uno che vorresti assolutamente scordare?

W.R.: «Le infinite giornate al telefono dopo il “colpo” messo a segno dal giornalismo investigativo di Channel Four. Diedi anche le dimissioni, seduta stante, al mio capo di Londra perché nella conferenza stampa telefonica organizzata ad hoc per i media internazionali si era “ dimenticato” dei giornalisti italiani. Ovviamente poi li incluse.

Più recentemente, quando sono stata invitata dal mio capo e ottimo auctioneer, in preda ad una laringite fulminante, a battere un’asta di beneficenza. Al momento della vendita, quando il presidente della onlus invitò i tanti partecipanti al cocktail allestito su una magnifica terrazza – che guarda su una delle chiese d’architettura romanica più importanti d’Italia – a contribuire alla causa, ci fu un fuggi fuggi di straordinaria, contemporanea rapidità.

Col martelletto in mano ho battuto inesorabilmente, a vuoto, lotto dopo lotto – sentivo solo la mia voce – nel nulla più assoluto… a confortarmi solo il tempo scandito dalla campana dell’antico campanile che avevo alle spalle».

N.M.: Oggi siamo nel mezzo di una situazione senza precedenti. Come vedi il futuro del mercato, in particolare di quello italiano?

W.R.: «Questa domanda va forse rivolta agli esperti di arte e mercato, anche se ormai con i data bank tutti sono in grado di stimare un’opera, fare confronti con le aggiudicazioni e quindi vaticinare il futuro. Il futuro più vicino sarà, come si dice, “click and brick”, ibrido.

Il vero futuro, quello che andrebbe immaginato e progettato seriamente, se non si rafforzano gli studi di storia dell’arte in Italia, sarà appiattito sul “sentito dire”, sugli affabulatori».

N.M.: Quali progetti hai per il futuro?

W.R.: «Valutare le 67 tesi degli studenti in vista degli esami… e leggere i romanzoni inglesi dell’Ottocento, più sono spessi più mi piacciono, Trollope, Wilkie Collins, Galsworthy».

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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