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MAGAZZINO – Un cristallo dalle molteplici sfacettature

del

Pochi mesi fa due coniugi e collezionisti Nancy Olnick e Giorgio Spanu hanno inaugurato a Cold Spring (NY) Magazzino Italian Art, primo centro privato aperto al pubblico dedicato all’Arte Italiana in America, edificio con un’ampiezza di quasi duemila metri quadrati ripartiti tra spazi espositivi e biblioteca specializzata, nato dal progetto dell’architetto spagnolo Miguel Quismondo e sotto la direzione artistica di Vittorio Calabrese. Un impulso notevole per la promozione dell’arte italiana al di là dell’Atlantico; Magazzino si pone sulla scena artistica internazionale quale centro espositivo, interamente autofinanziato, della Collezione Olnick-Spanu, raccolta che presenta con oltre quattrocento opere circa l’arte italiana dall’Informale al Gruppo Zero con una presenza molto forte e un interesse focalizzato agli esiti degli anni Sessanta fino ai giorni nostri e con un’alta concentrazione di lavori appartenenti al movimento dell’Arte Povera.

Originari rispettivamente di New York e della Sardegna, Nancy Olnick e Giorgio Spanu, che risiedono da venticinque anni a Garrison, New York, hanno iniziato la loro collezione acquisendo opere di maestri moderni e artisti americani della Pop Art. La loro ammirazione per l’arte e la cultura italiana, l’interesse nell’indagare i movimenti artistici concettuali di periodi simili da una prospettiva diversa, li ha visti coinvolti in un percorso il cui esito è una delle più grandi collezioni statunitensi di arte italiana postbellica. Mecenati di lungo corso, i due hanno continuato a promuovere il loro impegno per le arti attraverso l’Olnick Spanu Art Program, un programma di residenza annuale attivo da più di un decennio, che invita artisti italiani contemporanei a creare installazioni site-specific nell’abitazione della coppia, a Garrison, dove si sono avvicendati grandi nomi tra cui Massimo Bartolini, Mario Airò, Domenico Bianchi, Stefano Arienti, Francesco Arena.

Vittorio Calabrese, Director of Magazzino Italian Art in front of Michelangelo Pistoletto, Art International (ritratto di Maximilian von Stein), 1968, silkscreen print on polished stainless steel. Courtesy of Magazzino Italian Art, New York. Photograph by Marco Anelli © 2017.
Vittorio Calabrese, Director of Magazzino Italian Art in front of Michelangelo Pistoletto, Art International (ritratto di Maximilian von Stein), 1968, silkscreen print on polished stainless steel. Courtesy of Magazzino Italian Art, New York. Photograph by Marco Anelli © 2017.

Magazzino Italian Art apre le porte al pubblico con una grande mostra dedicata a Margherita Stein, omaggio fortemente voluto dai due collezionisti, dal titolo Margherita Stein: Rebel With a Cause; l’esposizione, attraverso una serie di capolavori dell’Arte Povera, celebra la storica fondatrice della galleria torinese Christian Stein (ndr. pseudonimo assunto dalla Stein nel 1966 allo scopo di ottenere il riconoscimento necessario nel mondo dell’arte italiana), pioniera del movimento il cui nome si deve al critico d’arte e curatore Germano Celant, che la coniò per la sua celebre mostra del 1967 alla Galleria La Bertesca di Genova.Nel corso della sua carriera Margherita Stein ha fortemente contribuito alla diffusione dell’Arte Povera prima in Italia e in Europa, e più tardi negli Stati Uniti. In continuità con la missione della Stein, la mostra inaugurale e la programmazione di Magazzino mirano a promuovere il dialogo e la ricerca storica sull’arte italiana del passato e del presente. Abbiamo dialogato con Vittorio Calabrese, Direttore di Magazzino Italian Art, il quale ci racconta il passato presente e futuro di un centro espositivo nato da una grande passione sfociata in un progetto di condivisione pubblica.

Alessia Cuccu: Vittorio vorrei partire parlando con te del presente di MAGAZZINO Italian Art, dove è in corso l’esposizione inaugurale dedicata a Margherita Stein, figura femminile di grande rilievo per il mondo dell’arte dagli anni sessanta e punto di riferimento per gli artisti di quel periodo, con i quali instaurava un profondo rapporto di amicizia e per i quali aveva un grande rispetto, tanto da collezionare lei stessa le loro opere. Non solo, ma soprattutto ha svolto un ruolo decisivo nella nascita dell’Arte Povera, movimento preponderante all’interno della prima esposizione di Magazzino.

Vittorio Calabrese: «Sono trascorsi cinquant’anni dalla prima definizione di Arte Povera data dal critico d’arte Germano Celant e insieme a lui, come hai sottolineato anche tu, la figura di Margherita Stein è stata fondamentale nel riconoscere in quegli artisti quali Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio dei talenti dall’elevato livello artistico oggi universalmente noti. La Stein rimase folgorata dalle loro opere, lavori nati in momento storico-politico, culturale e sociale molto importante per l’Italia; uomini e donne che si riferivano agli elementi primari e materiali non tradizionali come espressione dell’energia naturale e del pensiero, dove il loro unico mantra da seguire era “Arte è Vita”. Nonostante i collezionisti Nancy Olnick e Giorgio Spanu non abbiano mai avuto l’opportunità di conoscere Margherita Stein personalmente, si sentono molto vicini a lei per gli intenti e la visione con cui questa donna si approcciava in quanto gallerista e collezionista ai suoi artisti, oltre alla tendenza comune a supportarli e promuoverli a livello internazionale. I due collezionisti si sono approcciati alla figura della Stein attraverso lo studio della documentazione reperita nel tempo, ma soprattutto anche grazie agli artisti e alle loro opere, in quanto la maggior parte dei lavori presenti nella racconta Olnick Spanu sono appartenuti a Margherita Stein o sono stati esposti nel suo appartamento-galleria. Creare un centro di ricerca come Magazzino che presentasse nella sua prima mostra artisti e opere strettamente connessi al movimento dell’Arte Povera è stata una scelta naturale, così come omaggiare Margherita Stein per il suo impegno durato una vita intera e profuso nel richiamare l’attenzione internazionale su quegli artisti.

Christian Stein nella casa-galleria di Piazza S.Carlo a Torino con opere di Jannis Kounellis-luciano Fabro-Michelangelo Pistoletto-Ph Mario Sarotto.jpg
Christian Stein nella casa-galleria di Piazza S.Carlo a Torino con opere di Jannis Kounellis-luciano Fabro-Michelangelo Pistoletto-Ph Mario Sarotto.jpg

La mostra, Margherita Stein: Rebel With a Cause, presenta settantacinque opere circa, alcune distribuite anche all’interno degli uffici, quindi non tutte necessariamente fruibili al pubblico; il principale intento è stato quello di esporre gli artisti quasi individualmente, decretando per ognuno di loro la scelta di più opere appartenenti a differenti periodi della loro pratica artistica seguendo sempre come monito le parole della Stein: “Gli artisti sono come cristalli, hanno numerose sfaccettature, ciascuna delle quali rappresenta un aspetto della loro personalità”. Ed ecco che inseguendo questo pensiero, così come si accompagna alla raccolta Olnick Spanu, negli spazi di Magazzino sono esposte delle opere che sono la storia individuale di ogni artista; ad esempio di Alighiero Boetti, Luciano Fabro così come di Jannis Kounellis vengono presentati lavori che coprono un arco temporale molto vasto. Questa scelta rispecchia pienamente uno tra i tanti obiettivi di Magazzino: un approccio al collezionismo finalizzato sulla figura dell’artista e sulla rappresentazione completa dello stesso, insomma tutte le sfacettature del cristallo. La mostra sarà aperta al pubblico per tutto il 2018 e solo successivamente inizierà una programmazione legata sia agli artisti italiani contemporanei, alcuni già inclusi nella recente mostra tra cui Marco Bagnoli, Domenico Bianchi e Remo Salvadori».

A.C.: Ora finalmente Magazzino Italian Art è una realtà nell’Hudson Valley, area fertile a un’ora di treno da New York, divenuta hub culturale per la presenza di altri centri d’arte tra cui il Dia:Beacon e lo Storm King Art Center; ma com’è nato nelle menti dei due collezionisti Olnick Spanu?

V.C.: «L’idea di creare uno spazio come Magazzino era nella mente dei due collezionisti già più di dieci anni fa, con il presupposto non solo di esporre la collezione, ma anche e soprattutto di condividere la conoscenza degli artisti e delle loro opere con la comunità, creando un vero e proprio centro di ricerca sull’arte italiana. E’ molto importante sottolineare che, come hai già definito tu nella domanda, il progetto di Magazzino nasce in un contesto culturale dell’Hudson Valley che sta subendo una grande cambiamento, un rinascimento che è portato dall’arte e dalle istituzioni culturali, ma che allo stesso tempo è stato teatro di un grande rivolgimento già in passato con la nascita della Hudson River School. Inoltre il luogo stesso ha una valenza storica importantissima, perchè qui a Cold Springs ci troviamo a poca distanza da West Point, l’Accademia militare federale dell’esercito degli Stati Uniti. Tutto ciò per mettere in rilievo quanto il territorio abbia una storia ben radicata e un contesto culturale, etnico e politico molto complesso. Magazzino si pone quindi in tale contesto coinvolgendo la comunità stessa; tant’è che l’80% dei lavoratori che operano nei vari settori interni a Magazzino è appartenente alla zona. La nostra missione è creare un dialogo negli USA, soprattutto in un momento storico-politico, sociale e culturale che ci troviamo a vivere, in cui l’inclusione e il dialogo sono la chiave di tutto. Detto ciò, la storia di Magazzino è fortemente e intrinsecamente legata alla storia personale dei due collezionisti; tutto comincia con i meravigliosi vetri di Murano, che arrivano a rappresentare una delle più grandi collezioni del XX secolo, una raccolta che ora si è conclusa e che rappresenta una sorta di tributo alla creatività dello spirito umano. Dall’inizio degli anni novanta in poi Nancy Olnick e Giorgio Spanu hanno iniziato a visitare i più importanti musei italiani, rimanendo folgorati dal Castello di Rivoli, luogo nel quale l’avanguardia artistica italiana veniva presentata in un contesto complesso, dato dal dialogo con lo spazio e con un’architettura che inglobava e si adattava perfettamente; si percepiva un approccio più “ribelle”.

Un'immagine della giornata inaugurale di Magazzino Italian Art
Un’immagine della giornata inaugurale di Magazzino Italian Art

La passione poi è stata accompagnata da un grande studio e da tanta ricerca sugli artisti, tra cui Alighiero Boetti, Giulio Paolini e per tutti quelli che vengono associati al movimento dell’Arte Povera; scopo precipuo di Magazzino è quello di presentare l’arte italiana, essere un hub di studio negli USA per ricercatori da tutto il mondo. Questa esigenza nasce dal fatto che, seppur dagli anni settanta e ottanta nelle gallerie private degli Stati Uniti d’America vi siano state numerose esposizioni dedicate ad artisti italiani di quel periodo, le opere non sono poi confluite nelle collezioni delle istituzioni museali, o perlomeno gli artisti non sono stati presenti nei programmi espositivi dei grandi musei. Questa situazione si è creata per tanti motivi, tuttavia con Magazzino si vuole andare oltre e dare la possibilità agli studiosi di fare ricerca con e sulle opere, ma anche attraverso la bibliografia che è stata già scritta implementandola sempre di più; infatti il centro d’arte non è solo spazio espositivo per la collezione Olnick Spanu, ma contiene anche una grande Biblioteca, nata per ospitare circa cinquemila volumi d’arte, che speriamo possa diventare un punto di riferimento e di studio importante nel corso degli anni, con un programma di digitalizzazione e traduzione in inglese dei volumi che è già attualmente in corso».

A.C.: L’architettura di Magazzino, da quanto può essere apprezzato e visto dalle immagini, è suggestiva, minimal e sembra realmente in dialogo con la complessità delle opere contenute al suo interno…

V.C.: «Cronologicamente tre anni fa circa sono iniziati i veri e propri lavori di realizzazione dell’edificio, su progetto dell’architetto spagnolo Miguel Quismondo, il quale ha compreso e rispettato pienamente la volontà dei due collezionisti, ossia lasciare le opere d’arte come uniche protagoniste degli spazi. L’edificio è situato su una preesistente pianta a L a cui poi si è aggiunto un volume di scala più grande in cemento armato che crea un vero e proprio anello, rendendo la fruizione dello spazio e dell’allestimento estremamente semplice; attraverso dei connettori di vetro adibiti ad atrio d’ingresso e piccolo corridoio il vecchio edificio e il nuovo volume sono posti in dialogo. La struttura preesistente è stata ridotta all’osso, lasciando a vista lo scheletro stesso del tetto ad esempio, adottando in questo modo soluzioni che permettono una fruizione ottimale di tutte le opere; come l’utilizzo dei lucernai che lasciano entrare la luce naturale all’interno degli spazi per permettere al visitatore di riposare lo sguardo, in dialogo con l’esterno e l’architettura stessa.

Una vista dell'edificio di Magazzino Italian Art progettato da Miguel Quismondo
Una vista dell’edificio di Magazzino Italian Art progettato da Miguel Quismondo

Nancy Olnick e Giorgio Spanu hanno una grande sensibilità per le arti nell’accezione più tradizionale e totalizzante, quindi anche l’architettura così come il design diventano un tutt’uno nella composizione architettonica di Magazzino, che pur essendo uno spazio semplice, risultato di un’architettura radicale, si presenta con una forte identità. In ottobre sarà pubblicato un libro fotografico di Marco Anelli, in un certo senso primo artista in residenza di Magazzino, che documenta la realizzazione del centro d’arte dal cantiere fino all’inaugurazione. Il volume, intitolato Building Magazzino, ritrae gli operai in cantiere nel corso della realizzazione del progetto di Quismondo, che ha trasformato uno spazio industriale in uno dedicato all’arte italiana. Il racconto di Anelli presenta una prospettiva inclusiva del progetto di Magazzino, un racconto per immagini che permette di comprendere quanto impegno e lavoro ci sono dietro al progetto, dove l’elemento umano è il filo conduttore di tutto.

L'architetto Miguel Quismondo
L’architetto Miguel Quismondo

Finora le reazioni del visitatori hanno ripagato lo sforzo impiegato e che ancora si farà con Magazzino. Non c’è stata diffidenza nello stabilire un dialogo con le opere, ma anzi abbiamo cercato di preservare l’approccio emotivo del pubblico anche nel percorso stesso di visita e nella fruibilità dei lavori: puntiamo tutto sulla qualità e l’esperienza che ne deriva. Al giorno d’oggi, spesso si pensa che l’esperienza virtuale di visita possa in qualche modo sostituire quella reale, attraverso i vari social network; in realtà abbiamo notato che risultano essere uno stimolo per il pubblico che ci segue sui social a programmare il proprio tempo per dedicare una visita a Magazzino. Viviamo un momento storico culturale in cui vi è una perdita di identità da parte delle istituzioni, in virtù di una presenza social sempre più pressante; Magazzino Italian Art presenta una storia personale che si apre a tante influenze e a tanti confronti. Tutto ciò si percepirà maggiormente nel momento in cui partiremo con la programmazione di eventi paralleli, come ad esempio il focus su una rassegna di film italiani che raccontano sotto altri punti di vista il contesto sociale e culturale del periodo in cui è nata l’Arte Povera».

A.C.: Prima della realizzazione del centro d’arte Magazzino è stato creato l’“Olnick Spanu Art Program” (OSAP), un programma di commissione di opere ad artisti italiani per la residenza dei due collezionisti a Garrison (NY), dove si sono avvicendati grandi nomi tra cui Massimo Bartolini, Mario Airò, Stefano Arienti, Francesco Arena solo per citarne alcuni. Come è nato il desiderio da parte dei due collezionisti di dare vita a questo programma d’arte? Come si evolverà OSAP a seguito dell’apertura di Magazzino?

 V.C.: «L’OSAP è un progetto molto caro a Nancy Olnick e Giorgio Spanu, avviato oltre dieci anni fa come indagine dell’avanguardia corrente nel contesto artistico italiano; obiettivo condiviso con Magazzino, che si pone verso la contemporaneità dell’arte italiana corrente completamente sconosciuta agli americani.

L’Art Program è nato quasi per caso e grazie al grande coinvolgimento da parte dei due collezionisti con gli artisti. Primo artista italiano ad avviare l’OSAP è stato Giorgio Vigna e successivamente ogni estate sono stati invitati in residenza gli altri da te menzionati. Essi si sono posti a confronto con la bellissima residenza Olnick Spanu a Garrison, abitazione creata su progetto dell’architetto spagnolo Alberto Campo Baeza e caratterizzata da ampie vetrate, ricchi paesaggi, boschi naturali, giardini estesi, un’azienda agricola e viste panoramiche sul fiume Hudson.

Mario Airò, L’anello degli Appalachi, 2007–2008. Courtesy: Olnick Spanu Art Program
Mario Airò, L’anello degli Appalachi, 2007–2008. Courtesy: Olnick Spanu Art Program

Questi artisti non hanno avuto nessun tipo di rappresentazione da parte delle gallerie qui negli USA quindi proponiamo grazie all’Art Program così come a MAGAZZINO, attraverso le attività di sponsorizzazione, un tramite per presentare quella che è l’arte concettuale italiana in questo momento. Questi artisti hanno tutti incorporato nelle loro opere, attualmente facenti parte della collezione Olnick Spanu, lo spirito del movimento dell’Arte Povera.Nel contesto contemporaneo effettivamente c’è una riflessione un po’ più limpida sul contesto storico di quel periodo, che permette di proporre un tipo di lavoro concettuale che può essere comparabile in qualche modo a quello che è stato il “momento” dell’Arte Povera.

L’OSAP, ora come ora, subisce una battuta di arresto in qualità di programma di commissione di opere site-specific legata all’abitazione privata dei due collezionisti, per cui non è necessariamente fruibile al visitatore; la volontà di creare Magazzino è effettivamente anche un modo per permettere a quante più persone di visitare le opere e lo spazio che le ospita.

Giorgio Vigna, La Radura, 2003–2005. Courtesy: Olnick Spanu Art Program
Giorgio Vigna, La Radura, 2003–2005. Courtesy: Olnick Spanu Art Program

Prossimamente Magazzino darà luogo anche a mostre di giovani artisti italiani della scena contemporanea, intanto si è dato avvio a una serie di sponsorizzazioni di programmi collaterali tra cui “Artecinema”, una rassegna di film italiani sull’arte e l’architettura contemporanea curata da Laura Trisorio (9 dicembre 2016, in collaborazione con Casa Italiana Zerilli-Marimò presso la New York University), e la mostra “Ornaghi & Prestinari”, la prima dedicata agli artisti italiani Valentina Ornaghi e Claudio Prestinari a New York (24 ottobre – 9 dicembre 2016, in collaborazione con Casa Italiana Zerilli-Marimò presso la New York University e Galleria Continua di San Gimignano).

Più recentemente invece Nancy Olnick e Giorgio Spanu hanno supportato l’artista Melissa McGill, residente a Beacon e prima artista non italiana ad essere sponsorizzata per il progetto The Campi, una serie di installazioni sonore che raccontano il volgere delle piazze veneziane, presentato in concomitanza con l’apertura della Biennale di Venezia 2017; in questo modo i due collezionisti sottolineano il desiderio di sostenere anche i giovani artisti americani che si ispirano nella loro pratica artistica all’arte italiana e all’Italia».

A.C.: A proposito delle nuove generazioni di artisti, i due collezionisti come vi si approcciano e qual è la molla che fa scattare la ricerca di nuove opere per la raccolta?

V.C.: «Nancy Olnick e Giorgio Spanu sono due collezionisti che manifestano due personalità ben distinte, ma in un connubio tale da creare una sintonia di intenti, soprattutto nell’approccio agli artisti e alle loro opere; una conoscenza che viene approfondita grazie ad uno studio intenso, per lo sviluppo di un senso storico critico molto forte. Il rapporto con gli artisti per Spanu e Olnick è molto importante, tant’è che proprio la creazione di Magazzino Italian Art ci ha permesso di coinvolgere tutti gli artisti viventi, le famiglie e gli archivi di tutti quanti sono parte della collezione, creando un vero e proprio senso di comunità straordinario.

La raccolta Olnick Spanu si focalizza su un determinato periodo storico, per cui la ricerca delle opere è incanalata ad approfondirne sempre di più i momenti catartici che lo hanno reso fondamentale per l’arte contemporanea italiana; c’è un’identità molto forte nelle opere che vengono selezionate, le quali hanno un’estetica molto particolare e specifica definita dall’aspetto geografico e storico.

L’acquisizione parte sempre da una scelta dei due collezionisti, i quali studiano e acquisiscono informazioni, continuamente, senza i consigli di art advisors, ma solo con il mio contributo e il supporto di un team che segue il loro approccio.

Personalmente credo che questo approccio rifletta l’attuale momento storico dell’arte contemporanea come viene vissuta a New York, dove il collezionista erudito, che vuole fare ricerca e crede nella forza della cultura, quasi come nella vecchia accezione di mecenate, trova il suo spazio.

Giulio Paolini, Saffo, 1981, photography and plexiglass(Front Left); Alighiero Boetti, Clino,1966, enamel on wood(Back Left); Alighiero Boetti, Mazzo di tubi, 1966, PVC pipes(Right). Courtesy of Magazzino Italian Art, New York. Photograph by Marco Anelli © 2017
Giulio Paolini, Saffo, 1981, photography and plexiglass(Front Left); Alighiero Boetti, Clino,1966, enamel on wood(Back Left); Alighiero Boetti, Mazzo di tubi, 1966, PVC pipes(Right). Courtesy of Magazzino Italian Art, New York. Photograph by Marco Anelli © 2017

Nancy Olnick e Giorgio Spanu si sono sentiti in qualche modo responsabili nel raccontare la loro storia e l’approccio personale all’arte italiana, così Magazzino è diventato, in brevissimo tempo, anche uno dei punti di riferimento per gli artisti italiani che visitano New York e che non necessariamente fanno parte della collezione; vogliamo cercare di ampliare e aprire network di contatti per gli artisti che si trovano qui, condividendo la nostra esperienza e quello che si sta portando avanti.

C’è grande entusiasmo da parte dei giovani artisti, i quali devono essere supportati nella promozione della loro arte sempre in collaborazione con le gallerie e le istituzioni; ciò che risulta debole qui a New York è un solido sistema che promuova l’arte italiana negli Stati Uniti d’America, nonostante vi siano tante belle occasioni tra cui il “Premio New York” promosso dall’Istituto Italiano di Cultura di New York e dall’Italian Academy for Advanced Studies in America presso la Columbia University di New York.

Lo scambio sarà probabilmente la chiave di lettura del nostro operato: con gli artisti, con altri collezionisti, con il pubblico, con le istituzioni, con le opere.

Per tornare alla tua domanda in merito alla ricerca dei nuovi artisti, tutto parte dagli studio visit, dalla ricerca nei contesti delle fiere e dalla programmazione espositiva delle gallerie che seguiamo costantemente, ma per ovvi motivi geografici in modalità remota; come dicevo prima, la collezione Olnick Spanu ha delle linee guida molto specifiche sia a livello formale che concettuale.

Luciano Fabro, Efeso II,1986,marble and steel cable(Hanging center); Michelangelo Pistoletto, Art International (ritratto di Maximilian von Stein),1968, silkscreen print on polished stainless steel (Left); Mario Merz, Che fare?, 1968-1973, neon, wax, aluminum pot, copper handles(Left Floor);MichelangeloPistoletto, AdamoedEva,1962-1987, silkscreenprintonpolishedstainlesssteel(Right). Courtesy of Magazzino Italian Art, New York. Photograph by Marco Anelli © 2017
Luciano Fabro, Efeso II,1986,marble and steel cable(Hanging center); Michelangelo Pistoletto, Art International (ritratto di Maximilian von Stein),1968, silkscreen print on polished stainless steel (Left); Mario Merz, Che fare?, 1968-1973, neon, wax, aluminum pot, copper handles (Left Floor);MichelangeloPistoletto, AdamoedEva,1962-1987, silkscreenprintonpolishedstainlesssteel (Right). Courtesy of Magazzino Italian Art, New York. Photograph by Marco Anelli © 2017

Attualmente, con l’apertura di Magazzino, pensiamo effettivamente ad acquisizioni che possano aver senso in uno spazio espositivo come il nostro; una ricerca quindi che parte proprio dallo studio dell’opera, l’incontro che ne segue con l’artista e successivamente una selezione delle opere che effettivamente possono andare a completare quelle che sono certe linee della collezione vera e propria. Ci poniamo in una sorta di “tetris” per far rientrare tutto all’interno di quello che è il nostro filone, fuori da qualsiasi meccanismo di mercato o di trend, che di per sé è sempre stato evitato. Ovviamente c’è un interesse all’arte concettuale, alla memoria, al linguaggio effettivamente presente in tutti quelli che sono gli artisti della collezione e l’aspetto formale che rispetta un certo tipo di gusto personale dei collezionisti. Come ribadito prima, la ricerca viene portata avanti da me e un team di collaboratori, ma i collezionisti sono gli unici interlocutori con i quali ci rapportiamo per il lavoro di scoperta, approfondimento e di relazione con l’artista, per trovare una linea di comunicazione diretta che è la base poi per avviare il processo di acquisizione delle opere. Si lavora solo con gallerie e i galleristi sono i nostri “partners” nella costruzione della collezione e nella vita di Magazzino; crediamo fermamente che l’artista debba essere rappresentato sempre dal gallerista, in quanto questa figura deve essere per l’artista un promotore fondamentale. Abbiamo molta fiducia in questo tipo di triangolo, ma quella che viene esaltata nella scelta delle opere è la connessione che si crea tra i due collezionisti e gli artisti; tutti insieme cerchiamo di preservare e promuovere questa relazione».

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