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Pesaro

dal 2012 il primo blog dedicato al collezionismo d'arte.

Quello che gli artisti non dicono. Estratti da una conversazione su materiali e committenti

del

Impara l’arte e mettila da parte, dice il vecchio adagio. Ovvero, apprendi i segreti del mestiere e sappi che, al momento del bisogno, su queste conoscenze potrai fare affidamento anche se ti sembrano lontani ricordi. Usa la Forza, Luke, in poche parole.

A volte capita che mi chiedano delle cose che per me sono ovvie, e siano poi sorpresi dalle mie risposte altrettanto ovvie.

Così se ne esce chiacchierando un amico pittore. Potrebbe sembrare spocchia, ma è piuttosto una constatazione amichevole. Ma con chi è capitato il sinistro? Con un committente e collezionista, a quanto pare.

A volte, chi è pratico di qualcosa fatica a pensare che ciò che per lui è ovvio non lo sia per forza anche per gli altri. Penso sia naturale inclinazione umana.

Vi è mai capitato di farvi spiegare le regole degli scacchi da un scacchista? Difficile trovare qualcuno che alla terza domanda scontata sulle aperture non mostri cenni di stizza. Senza mettere arte e scacchi sullo stesso piano (ma si potrebbe), bisogna accettare l’evenienza che qualche volta ci si possa anche sentire stupidi e armarsi di pazienza e qualche piccolo trucco per non farsi trovare impreparati. Negli articoli precedenti, ho provato a dare ai lettori qualche consiglio utile per farsi una base di conoscenze attingendo a testi di alto livello accessibili a tutti.

Mi chiedono perché mi prepari la tempera all’uovo coi pigmenti e le uova fresche. Perché? Non so che rispondere. Ho l’impressione che certe pratiche siano percepite come amatoriali, un po’ raffazzonate, che uno fa perché è un pittore della domenica.

La tendenza a ridurre l’arte al solo aspetto concettuale è un classico dei nostri tempi. E invece, in greco arte si dice techné, e in latino ars indica qualunque mestiere.

L’idea del pittore un po’ naif à la Van Gogh, che spreme direttamente i tubetti sulla tela componendo un capolavoro istantaneo, è tanto bella quanto falsa. Anche perché Van Gogh era molto consapevole dei materiali che usava e, da bravo olandese, era attento che i suoi fornitori non gli vendessero prodotti scadenti.

Per me è ovvio che dei materiali testati su una prospettiva di cinquecento anni, presi da ricettari di bottega e la cui veridicità è stata testata nel tempo, siano più affidabili di composti chimici in commercio da nemmeno cinquant’anni. E non parlo tanto dei tubetti degli impressionisti, quanto della roba che circola adesso, inventata negli ultimi anni.

I tubetti in stagno arrivarono sul mercato intorno al 1841. Essi permettevano una conservazione più lunga del colore oltre a una praticità decisamente maggiore nell’uso e nel trasporto rispetto alle vesciche suine usate prima. Un vantaggio per la pittura en plein air che contribuì alla rivoluzione impressionista, con, però, qualche conseguenza sconveniente: gli artisti cominciarono ad essere sempre meno consapevoli dei materiali e dei loro limiti, affidandosi al mercato e alle sue tentazioni.

Novità sensazionali, a volte divertenti da usare, con i loro pregi, ma che a volte lasciano adito a qualche dubbio.

Perché si resta sorpresi dal fatto che io mi voglia affidare a pigmenti stabili perché di origine minerale, vegetale o animale e usati da sempre, come fossi una specie di sciamano? E invece, usando uno smalto sintetico sembrerei più professionale, quando in realtà lo smalto, prendendo luce, fra cinque anni potrebbe aver modificato la propria tinta?

A volte, il prodotto industriale, che può essere ottimo come mediocre, viene percepito come qualcosa di qualità superiore a priori rispetto al prodotto fatto in casa reperendo le materie prime, macinando i pigmenti e miscelandoli con olio di lino purificato.

Il tubetto di olio di qualità eccelsa non posso permettermelo. Però io ho un segreto: ho le conoscenze per poter produrre con le mie mani un materiale di livello altrettanto alto a un costo più basso. Se non uso la grande marca non significa che il prodotto che ho in mano non sia ottimo.

Ad esempio, stamattina ho steso su una tela vergine comprata agli scampoli tre fondi di cadmio rosso puro, dalla resa talmente vibrante che una fotografia non rende loro giustizia. Usando un rosso di cadmio acrilico o un olio di media qualità, non avrei la stessa resa. Dovrei andare su un prodotto da 40 euro a tubetto per avvicinarmici.

Domandare è lecito, rispondere è cortesia. A volte, domandando ad un artista i dettagli tecnici del suo lavoro si può imparare tanto e riuscire a fare per primi la mossa del cavallo nella partita a scacchi del collezionismo.

Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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