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Recontemporary. Ai piedi della Mole nasce il primo club per la videoarte

del

A Torino, proprio sotto la Mole, ha appena aperto Recontemporary, il primo club dedicato alla videoarte in Italia. Club, appunto, e non galleria. Si tratta infatti di uno spazio no profit che vuole offrire un punto di vista particolare sulla videoarte, tra l’altro con il progetto suggestivo, e di imminente realizzazione, di adibire una parte dei sotterranei dell’adiacente Mole Antonelliana alle mostre.

Il video è una forma d’arte ormai storica, e tuttavia ancora per molti versi considerata difficile da collezionare. Un medium espressivo vicino al cinema e ad altre forme di espressione artistica, che ha al suo centro l’immagine in movimento. Anche per questo l’esperimento Recontemporary mi è parso molto interessante e ho deciso di parlarne con una delle sue fondatrici, Iole Persano, per saperne di più.

Maria Cristina Strati: Come è nato e che cosa vuole diventare Recontemporary?

Iole Persano: «Recontemporary nasce nel 2016 come un blog di video interviste con l’obiettivo di creare un ponte tra l’arte contemporanea e il pubblico attraverso il video. Tramite le voci di alcuni influenti attori come artisti, collezionisti, critici e brevi storie il progetto voleva trasmettere la passione per l’arte e la capacità di vedere il mondo da un altro punto di vista. Nato come un progetto per raccontare il mondo dell’arte tramite il video, Recontemporary è ora un progetto dedicato al video nel mondo dell’arte».

M.C.S.: Mi piace molto l’idea del club, luogo di scambio, confronto e formazione, anche dedicato alle scuole medie e superiori, sempre sulla videoarte. Come progettate di sviluppare questo aspetto in futuro?

I.P.: «Recontemporary aspira a diventare un punto di riferimento per il video nel mondo dell’arte. Il club nasce dall’idea di creare un luogo che dia spazio all’esplorazione del media tramite mostre dedicate, incontri e talk con artisti, curatori, specialisti, premi e fondi per la produzione artistica. L’obiettivo è creare una community di appassionati che credano come noi in questo linguaggio e che siano coinvolti nello sviluppo del progetto dalla semplice partecipazione a un supporto vero e proprio.

Iole Persano (al centro) con il team di Recontemporary: Giulia Turcati (Curatela), Costanza Hardouin (Comunicazione) e Axelina Gunnarsson (Video e Social Media)

Per quanto riguarda il percorso educativo, siamo molto felici del successo dei primi laboratori con ragazzi delle le scuole medie. Gli adolescenti sono abituati a una comunicazione video, immediata e digitale, poter analizzare il media con loro per noi è molto importante. Loro sono incuriositi e entusiasmati dall’avanzamento dei linguaggi e noi di costruire un momento di ascolto e attenzione di un pubblico di giovanissimi. La generazione Z è un bacino di idee e proposte per il futuro a cui noi ci auguriamo di fornire gli strumenti adatti a stimolare la loro creatività e sviluppare senso critico».

 

M.C.S.: Invece, come si svilupperà il confronto con il cinema?

 

I.P.: «Grazie anche alla vicinanza che ci lega al Museo del Cinema (che è a due passi dalla sede di Recontemporary Ndr), nella nostra programmazione prevediamo una serie di appuntamenti in dialogo con i festival cinematografici e le manifestazioni in programma a Torino, che nel 2020 sarà città del cinema. I due mondi sono vicini per utilizzo degli stessi linguaggi e tecnologie. Credo che possa essere di interesse comune ampliare le visioni e prospettive date dalla contaminazione delle arti».

 

M.C.S.: So che avete in programma un premio dedicato ai giovani videomaker. Mi racconti di che cosa si tratta?

 

I.P.: «Il video, per quanto sia sempre più presente nei musei e alle biennali e per quanto sia oggi uno dei linguaggi preferiti dagli artisti contemporanei, ha ancora un mercato difficile e instabile per via delle problematicità di conservazione. Recontemporary presenterà per l’estate un premio rivolto agli under 30, con la speranza di aprire orizzonti creativi per i giovani artisti, supportare la produzione di nuove opere d’arte e sostenere la sperimentazione di nuovi metodi e tecnologie».

Gli ambienti di Recontemporary a Torino

M.C.S.: Ho visto anche che ci saranno molte collaborazioni interessanti… dal vicino Museo del Cinema, al festival Loop di Barcellona, fino a gallerie internazionali come nel caso della Galleria Florence Loewy di Parigi e del lavoro che presenterete ad Artissima

 

I.P.: «Non sono tantissime le realtà dedicate al media video ma sono molto attive e disposte a fare rete. Grazie a diversi contatti internazionali legati al mondo dell’arte contemporanea, tra collezioni e istituzioni provenienti da Francia, Spagna, Olanda, Belgio, Australia e Russia potremo presentare nomi internazionali, inserendoci in un circuito di scambio culturale.

I prossimi appuntamenti di Recontemporary sono l’inaugurazione di “Risvolto” mostra video dell’artista francese Camille Llobet in collaborazione con la galleria Florence Loewy durante la settimana di Artissima. Una proposta molto delicata, introspettiva e intima legata al linguaggio inteso come comunicazione gestuale e verbale, in cui l’artista è presente in prima persona, anche attraverso una performance.

A seguire, nei giorni del Torino Film Festival, a fine novembre, ci sarà “Becoming Future”, una selezione di alcuni degli artisti vincitori delle edizioni 2018 e 2019 del LOOP Discover Award. Si tratta del premio di Loop, il festival di Barcellona, uno degli eventi più importanti nel mondo per la video arte».

 

M.C.S.: Il progetto comprende anche una produzione di flipbook oggetti molto interessanti e particolari. Avete cominciato con quello molto romantico di Glenda Leon, di cui un lavoro sarà anche presentato ad Artissima Telephone, alle OGR, quest’anno…

 

I.P.: «Sì, i flipbook nascono da una mia passione di bambina e dal desiderio di creare un prodotto di incontro tra qualcosa di tangibile e il video. Una collana di libri animati, ogni edizione è un’opera inedita di un artista, in una produzione di 150 copie firmate e numerate. Ogni anno presenteremo un nuovo numero, il primo è nato dalla collaborazione con l’artista cubana Glenda Leon, il cui lavoro è molto poetico per quanto capace di far riflettere su temi di interesse attuale. Con lei abbiamo iniziato questa avventura portandola per la sua prima mostra personale in Italia e producendo il primo numero della collana di Flipbook. Sono molto felice di sapere che presto sarà in mostra alle OGR come la stessa Camille Llobet».

Uno stille di “Order, Act I. Kill the poor, Eat the rich ” del collettivo madrileno dei Democracia

M.C.S.: Veniamo il video che presentate al momento. Democracia è un collettivo di artisti di Madrid molto attivo sul piano sociale e dei diritti.. Il video è molto colto, pieno di riferimenti simbolici e rimandi culturali. Vanta anche un sapiente uso delle immagini, dei suoni e della musica. Tutto molto attuale e legato ai tempi in cui viviamo…

 

I.P.: «Sicuramente in un momento di fermento sociale internazionale, di perdita di punti di riferimento, in cui la violenza avanza, il lavoro di Democracia si fa spazio portando molta attenzione a temi di attualità. Order, Act I. Kill the poor, Eat the rich è il primo di tre atti che stimolano il pubblico a domandarsi quali direzioni la società stia prendendo in una corsa folle a consumare, tra incomunicabilità ed estremizzazioni. Tra suoni, simboli e regia il lavoro molto abile dei Democracia è studiato nel dettaglio per innescare pensiero ad ogni singola clip. Un video che necessita una visione completa e che esce dagli schermi attraverso una comunicazione fatta di manifesti, giornali e foto».

 

M.C.S.: Mi anticipi qualcosa sul video che presenterete invece per la prossima edizione di Artissima, ormai alle porte?

 

I.P.: «Come anticipato il lavoro di Camille è un lavoro molto introspettivo. Per capire a fondo la sua pratica abbiamo scelto di portare in mostra più lavori, per l’esattezza tre: Majelich, Faire la musique e Voir ce qui est dit. Quest’ultimo si sdoppia in due interpretazioni.

Sarà curioso vedere come, rispetto a Democracia, cambi drasticamente l’utilizzo del media. In questo caso, il video è un dispositivo fondante nella pratica dell’artista. In un gioco fatto di linguaggio e interpretazione, l’artista invita lo spettatore a notare i dettagli che differenziano la percezione in ognuno.

Ci sono performance che si trasformano in video. Vedremo una soprano riprodurre i suoni e versi di un neonato, degli atleti ripetere mentalmente le azioni che seguiranno nella loro prestazione, una giovane donna sorda descrivere nel linguaggio dei segni un’orchestra che suona che lei può soltanto vedere, e così via…».

 

Uno still di “Majelich” di Camille Llobet

 

M.C.S.: Per finire, per tanti collezionisti, soprattutto in Italia, la videoarte è ancora qualcosa che spaventa un po’. Che cosa si può fare, secondo te, per incoraggiare i collezionisti nei confronti di questa forma d’arte così interessante?

 

I.P.: «Intanto bisogna iniziare a considerare l’arte in modo più aperto, oramai anche il collezionismo ha preso direzioni differenti tra chi lo fa per passione e chi per investimento. Viviamo circondati da tecnologie, e io capisco che il video possa spaventare molti non ancora pronti a cambiare i metodi più tradizionali con qualcosa che presto porterà i segni del tempo.

Va infatti detto che uno dei più grandi problemi di collezionare video è dato dal continuo avanzamento tecnico di supporti e metodi. Ciò debilita la conservazione e il pieno apprezzamento dell’opera. A difesa del mercato del video, si può dire però che i suoi prezzi riescono a essere ancora giusti e che si tratta di un linguaggio sempre più accolto dalle collezioni istituzionali e museali, ciò che sta portando l’opera ad accrescere di valore.

Oggi io credo che sia arrivato il momento di andare oltre l’opera d’arte “d’arredo” e iniziare a vedere in modo più ampio la proposta contemporanea, collezionando ciò che è capace di trasmetterci emozioni, nuove visioni e di rimanere nelle nostre menti e non solo».

Il Basement di Recontemporary

M.C.S.: Un’ultima domanda… che cosa ci sarà a partire da questa primavera, nei sotterranei nientemeno della Mole Antonelliana?

 

I.P.: «A maggio speriamo di poter aprire il Basement di Recontemporary, una camera ipogea che sarà adibita alle mostre più grandi tra video installazioni, realtà aumentata e progetti interattivi. Un posto di esplorazione delle nuove tecnologie immersi in un’architettura che ingloba nei suoi muri dell’antica cinta muraria di Torino. Inaugureremo con Dennis Del Favero in collaborazione con l’iCinema Center di Sidney».

Maria Cristina Strati
Maria Cristina Strati
Maria Cristina Strati vive e lavora a Torino. Studiosa indipendente di filosofia, è critica e curatrice di arte contemporanea, nonché autrice di libri, saggi e racconti. Convinta che davvero l’arte sia tutta contemporanea, si interessa al rapporto tra arte, filosofia e quelli che una volta si chiamavano cultural studies, con una particolare attenzione alla fotografia.

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