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Restaurare l’opera di Banksy a Venezia. Una buona intenzione, anche se probabilmente in violazione delle norme sul diritto d’autore

del

L’intenzione è delle migliori: preservare “Migrant Child” (Il bambino migrante), l’opera realizzata sulla parete di un palazzo abbandonato di Rio Novo a Venezia nel maggio del 2019 da Banksy, che sta purtroppo sparendo a causa del moto ondoso delle onde e dell’effetto corrosivo del sale.

L’idea è di Vittorio Sgarbi, noto critico e storico dell’arte, attualmente Sottosegretario di Stato al Ministero della cultura, che ha coinvolto una fondazione bancaria che coprirebbe i costi. Non è chiaro se l’intervento di restauro comporti l’asportazione dell’opera o meno.

La notizia è stata ripresa dai giornali, sollevando consensi e critiche (come spesso avviene quando c’è di mezzo Sgarbi) tra chi riconosce l’intento di preservare un’opera oramai “integrata” nella storia di Venezia (e molto visitata e apprezzata dai turisti) e chi lamenta che un restauro comprometterebbe il carattere effimero delle opere di street art, quanto meno quelle non commissionate, rimesse dall’autore consapevolmente alle intemperie e alla benevolenza della collettività (e degli altri artisti) che potrebbero cancellarle (anche con la sovrapposizione di successive altre opere) in ogni momento.

Dal punto di vista legale, la normativa di riferimento è la legge 22 aprile 1941, n. 633 e succ. mod. (la “Legge sul diritto d’autore” o, per brevità, “LDA”) e, in particolare l’art. 20 che tutela la volontà dell’artista e l’opera come è stata da quest’ultimo concepita.

L’art. 20 LDA, infatti, prevede che, indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera, che possono essere ceduti o concessi a terzi, e anche dopo avere disposto dei diritti economici, l’autore conserva sempre il diritto “di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione”. Il diritto morale d’autore è peraltro inalienabile; dopo la morte dell’autore il diritto può essere fatto valere, senza limite di tempo, dagli eredi, come indicato dalla stessa legge e nell’ordine previsto.

Prima di procedere ad un restauro occorre pertanto indagare, di volta in volta, la volontà dell’artista; le modifiche che alterino l’opera per come è stata concepita, ad esempio per l’adozione di un nuovo diverso supporto, così come quelle volte prolungarne la vita di una opera pensata come temporanea, potrebbero infatti comportare un pregiudizio all’onore e alla reputazione dell’autore e, di conseguenza, il risarcimento dei danni eventualmente patiti da quest’ultimo, inclusa la perdita di valore dell’opera. E ciò sia in caso di conservazioni in situ, ovvero con pannelli e teche che proteggono l’opera dove è stata realizzata, che ex situ, ovvero trasferendola all’interno di locali più adatti, come musei e gallerie.

Quanto proprio alla rimozione dal suo supporto originale, la giurisprudenza ha avuto modo di statuire che anche lo spostamento di un’opera d’arte figurativa indicata dal luogo individuato per la sua collocazione può dare luogo a lesione del diritto d’integrità soltanto se dal trasferimento in un altro sito possa derivare danno per l’opera stessa o pregiudizio all’onore e alla reputazione dell’artista, anche in relazione al contesto della nuova collocazione” (Trib. di Napoli, 9 maggio 1997); e, più recentemente, in senso analogo, “La riduzione dell’altezza complessiva di una scultura, la sua collocazione in un luogo esposto alle vibrazioni del traffico e allo smog (che ne stanno provocando il progressivo degrado), oltre che in posizione periferica e marginale, e il posizionamento su un basamento realizzato in un materiale del tutto diverso ed estraneo per colore, stile e dimensioni, contribuiscono nel loro complesso a svilire le caratteristiche ed il valore dell’opera, e quindi a modificarne significativamente la percezione, e dunque il giudizio, da parte del pubblico, ledendo di conseguenza l’onore e la reputazione dell’autore in misura non trascurabile, con conseguente violazione del suo diritto morale all’integrità dell’opera” (Trib. Bologna, 13 ottobre 2014).

Eclatante in tal senso è stato in Italia il caso dell’artista Blu, spesso richiamato negli articoli che hanno dato conto della proposta del Sottosegretario Sgarbi, il quale ha deciso di rimuovere con vernice e scalpello tutti i suoi murales realizzati a Bologna in risposta alla esposizione di alcune sue opere (rimosse dall’originario contesto) in una mostra organizzata nelle sale del Museo della Storia di Bologna, ed intitolata “Street Art – Banksy & Co”, promossa da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Arthemisia Group e Genus Bononiae. Musei nella città.

È discusso poi se, all’inverso, l’autore dell’opera possa imporre al proprietario obblighi di custodia, ad es. di proteggere con tettoie opere di street art. In senso affermativo, in giurisprudenza è stato ritenuto che “può in astratto configurarsi una violazione del diritto morale dell’autore di un dipinto ex art. 20 LDA anche nel caso di degrado dell’opera in conseguenza del trascorrere del tempo insieme al concorso di altri specifici fattori negativi imputabili al detentore, quali ad esempio un atto omissivo qual è l’omissione del restauro del dipinto, considerato che superato il limite del decadimento naturale il degrado potrebbe causare una lesione all’integrità dell’opera d’arte figurativa ed influenzare negativamente la percezione dell’opera presso il pubblico e costituire quindi una lesione della reputazione dell’artista” (Trib. Milano, 20.01.2005). La sentenza è rimasta tuttavia sostanzialmente isolata ed efficacia e limiti di un tale obbligo di custodia sono ancora discussi.

Se l’opera in questione è poi soggetta alle norme previste dal Codice dei beni culturali, qualsiasi restauro dovrà rispettarne la disciplina e lo stesso intervento, una volta autorizzato, dovrà avvenire nel rispetto delle linee di indirizzo, le norme tecniche, i criteri e i modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali sono definiti dal Ministero della cultura. Il Codice prescrive infatti che tali opere siano conservate, intendendo l’attività di conservazione come “una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro”, quest’ultimo definito come “l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali” (art. 29 Codice).

I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono espressamente tenuti a garantirne la conservazione ma eventuali restauri e altri interventi conservativi su beni culturali ad iniziativa di questi ultimi devono essere autorizzati dal Ministero, che può sempre imporre al proprietario, possessore o detentore, gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni, ovvero provvedervi direttamente.

Sebbene le intenzioni del Sottosegretario siano ottime, il restauro di “Migrant Child” potrebbe quindi non essere lecito e tale intervento, quale che sia, andrà valutato con attenzione, magari anche provando a chiedere l’autorizzazione a Robin Gunningham, l’abitante di Bristol da molti anni indiziato numero uno come l’autore dietro il nome d’arte di Banksy, attualmente imputato per diffamazione presso l’alta corte di Londra in un processo che riguarda proprio Banksy e che potrebbe pertanto rivelare il nome dell’artista.

Gilberto Cavagna di Gualdana
Gilberto Cavagna di Gualdanahttps://www.bipartlaw.com/
Gilberto Cavagna di Gualdana è avvocato cassazionista specializzato in diritto della proprietà industriale e intellettuale, con particolare attenzione al diritto dell’arte e dei beni culturali.

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