Dal 2 aprile il presidente Trump sta facendo vacillare il mondo con l’aumento dei dazi globali, una componente chiave della sua agenda economica. Si tratta di tasse (calcolate generalmente in percentuale) che gli Stati Uniti applicano sui beni importati. Chi importa può scegliere se accreditare questi costi aggiuntivi al consumatore oppure farsene carico. Secondo Trump, questo sistema mira a far crescere l’economia del paese proteggendo i posti di lavoro e le industrie nazionali, oltre che per eliminare i deficit commerciali. I numeri, però, ci dicono tutt’altro: il mercato azionario statunitense ha perso 4.000 miliardi di dollari a seguito del disagio provocato dai dazi che hanno aumentato l’incertezza per imprese, investitori e consumatori.
Il 9 aprile, inoltre, dopo le richieste di oltre 75 paesi e la preoccupazione del mercato finanziario, si è annunciata una sospensione di 90 giorni della maggior parte dei nuovi dazi. Ma cosa succederebbe se la sospensione venisse revocata?
Le preoccupazione nel mercato dell’arte: domande, dubbi e perplessità
Globalmente, il Presidente americano ha imposto dazi del 25% sull’acciaio e l’alluminio importato negli Stati Uniti. Tra gli obiettivi vi è anche quello di fermare l’ingresso del Fentanyl nel Paese, l’oppioide sintetico che nel 2021 si stima sia stato coinvolto nel 67% dei decessi avvenuti per overdose o avvelenamento da farmaci. Nei Paesi più colpiti rientrano Canada e Messico, con tariffe del 25% su tutti i beni importati e del 20% per Cina ed Unione Europea. Quest’ultimi, per controbattere, stanno proponendo misure di rappresaglia, mentre Trump minaccia di imporre aumenti su altri beni e paesi. Fino a qui, apparentemente sembra che l’arte non sia direttamente coinvolta in questa “guerra dei dazi”, ma la situazione non è per nulla chiara.
Gli avvocati attivi nel traffico d’arte hanno opinioni e illazioni differenti riguardo la questione.
Tradizionalmente, infatti, le barriere commerciali, secondo la legislazione statunitense, non si applicano all’arte. Nello scenario precedente al secondo mandato trumpiano, però, durante la guerra commerciale con la Cina, Trump istituì una tariffa del 25% su molti prodotti cinesi, indipendentemente da età o origine, includendo sia l’arte cinese contemporanea sia le porcellane imperiali Ming e tutte le opere che, pur trovandosi in collezioni europee da oltre cento anni, erano state originariamente prodotte in Cina. Questo è solo un esempio che portò a ripercussioni significative sulle vendite e sulle esposizioni di arte contemporanea cinese negli USA e viceversa.
La preoccupazione attuale nasce in parte perché gli attori del mercato dell’arte (come galleristi e art dealer) non sanno quali tariffe bisognerà pagare e che cosa cambierà nella solita procedura di consegna e vendita delle opere. Anche fra i collezionisti statunitensi regna la confusione su quanto verrà a costare l’acquisto di un’opera da importare.
Alcune gallerie internazionali stanno riconsiderando, infatti, la loro partecipazione alle diverse fiere d’arte che avranno luogo negli Stati Uniti, mentre quelle statunitensi stanno valutando le difficoltà che probabilmente incontreranno nel vendere lavori di artisti che producono nei paesi più colpiti dalle tasse doganali. “Anche quando le opere d’arte sfuggono alla tassazione diretta, non lo fa l’ecosistema circostante”, ha dichiarato Katrina Aleksa, consulente d’arte e cofondatrice dell‘Association of Women in the Arts. “I costi di spedizione elevati, i controlli doganali più severi e l’aria di incertezza economica gettano un’ombra più lunga sulle transazioni artistiche internazionali”. Gli unici che potrebbero beneficiarne, forse, sarebbero i porti franchi, poiché potrebbero fungere da punto di transito privilegiato per le opere d’arte.
Edouard Gouin, CEO e co-fondatore della ditta di spedizioni d’arte Convelio, in un’intervista di Artsy sottolinea che c’è il rischio che l’arte possa essere usata come “merce di scambio” nei negoziati, man mano che questi procedono. Questo potrebbe indurre i collezionisti a “comprare all’estero e a immagazzinare nei porti franchi, avvantaggiando, in ultima analisi, le società di stoccaggio al di fuori degli Stati Uniti”.
C’è però anche la questione se le forme d’arte non tradizionali siano coperte dalla definizione dell’Harmonised Tariff Schedule (HTS) del governo statunitense. “Le categorie con un appeal trasversale, come l’arte funzionale, i pezzi di design o le opere in edizione limitata, potrebbero trovarsi a navigare in un’area più grigia“, ha affermato Aleksa. Gli operatori del settore hanno anche osservato che potrebbero esserci problemi nel classificare l’arte digitale e l’arte performativa.

Facciamo un po’ di chiarezza: perché l’arte dovrebbe essere esentata dai dazi
Con l’aumento dei dazi all’importazione per i mercanti non restano molte alternative se non che accreditare questa tariffa aggiuntiva agli acquirenti di opere d’arte, se questo sarà il caso. La scheda informativa redatta dalla Casa Bianca recita, però, che “non saranno soggetti alle tariffe” beni come “opere d’arte, fotografie e poster”.
Ma cosa s’intende per “opera d’arte”? Nell’HTS, con “opere d’arte” si includono “dipinti, disegni, pastelli, incisioni originali, stampe e litografie, sculture, oggetti di interesse archeologico, etnografico o storico e oggetti di antiquariato di età superiore a 100 anni”. Inoltre, Trump ha emanato queste normative ai sensi di uno statuto dei poteri d’urgenza raramente utilizzato, l’International Ermergency Economic Powers Act del 1977. Secondo quest’ultimo, i “materiali informativi”, categoria che include, tra gli altri, le “opere d’arte”, sono esenti da limitazioni o tariffe indipendentemente dal Paese di provenienza. In altre parole, dato che qualsiasi delega dev’essere conforme alla Costituzione, tassare le opere d’arte sulla base di una situazione apparentemente legata alle droghe illegali è piuttosto improbabile.
Il problema, però, si presenta anche nelle politiche di rappresaglia degli altri stati colpiti dalle tariffe statunitensi. La Confédération Internationale des Négociants en Œuvres d’Art (CINOA), l’organizzazione dei mercanti d’arte con sede a Bruxelles, esorta, infatti, l’UE a non includere l’arte nelle sue tariffe di ritorsione contro gli Stati Uniti, affermando che: “le opere d’arte sono creazioni uniche e irripetibili prodotte da singoli artisti, non da fabbriche o società. Non sono prodotte in serie e non contribuiscono alle distorsioni del mercato, a differenza di beni industriali come l’acciaio o i prodotti agricoli. Essendo tipicamente acquistate e vendute da individui o microimprese, piuttosto che da produttori o rivenditori su larga scala, le opere d’arte hanno un impatto minimo sugli squilibri commerciali“. Inoltre, come asserisce Gouin, l’arte è un mercato di nicchia, non un target politico. Le opere d’arte, infine, non sono un bene prioritario come altri settori in cui “la mancanza di tariffe svantaggia direttamente le aziende americane”.
Diversi esperti, pertanto, propongono la creazione di “corridoi culturali” esenti dai dazi, per favorire un dialogo intellettuale e artistico tra le nazioni ed evitare di erigere barriere non solo economiche, ma anche simboliche.
Perché, nonostante tutto, la guerra dei dazi può impattare comunque sull’arte
Mentre alcuni riescono a vedere in questa situazione dei lati positivi (es. questo proibizionismo permette di concentrarsi sull’acquisto di arte locale riducendo la dipendenza dal mercato statunitense) altri, ovvero la maggior parte, non hanno buoni presentimenti a riguardo.
“Stiamo iniziando a vedere l’impatto delle tariffe sul legname e sui materiali di imballaggio importati, che si tradurrà in un aumento dei costi di imballaggio e di spedizione“, ha dichiarato Francis Petit, direttore di Gander & White, una società di logistica per le belle arti che lavora su progetti che includono fiere d’arte come Frieze London e Art Basel.
Se i dazi sul Messico entrassero in vigore, potrebbero ostacolare la vendita di arte latinoamericana, uno dei pochi settori in ripresa. In paesi come la Cina, invece, i dazi non toccano direttamente le opere d’arte in generale, ma inficiano piuttosto sul costo dei viaggi internazionali e dei materiali per gallerie ed artisti (come gesso ed alluminio). Nonostante ciò, Trump ha minacciato di imporre tariffe generalizzate dal 10 al 60%, che si aggiungerebbero alla tassa già esistente del 7,5% (ridotta da Biden) sui dipinti importati dalla Cina. Una tassa che potrebbe arrivare fino al 20% ed essere applicata ad altri partner commerciali, come l’Unione Europea. Il Canada resterebbe, però, il paese più colpito, in quanto esporta materie prime negli Stati Uniti e poiché il dollaro canadese è in calo rispetto a quello statunitense (attualmente valutato a circa 70 centesimi rispetto al dollaro statunitense). Ad esempio, un’opera d’arte che costa 10 mila dollari USA viene convertita in 14.603 dollari canadesi, aggiungendo il dazio del 25% si arriva a un totale di 18.253,75 dollari canadesi, e le imposte federali portano il totale a 20.626,73 dollari canadesi. In tali circostanze, opere precedentemente accessibili diventano proibitive per alcuni acquirenti.

Il mercato italiano
Dopo il crollo causato dalla pandemia, il mercato dell’arte italiano ha registrato una lenta ma costante ripresa: nel 2023 il fatturato ha superato 1,8 miliardi di euro, segnando un trend di crescita rispetto agli scorsi anni. Tuttavia, il mercato resta ancora lontano dai livelli delle principali piazze finanziarie internazionali, contrastato anche da una struttura fiscale poco favorevole. Gli Stati Uniti, infatti, sono il più grande mercato dell’arte al mondo, con la più alta fascia di prezzi: nel 2023 hanno raggiunto una quota di vendite del 42% su 65 miliardi di dollari, seguita dalla Cina e Hong Kong col 19% e dal Regno Unito col 17%, secondo il Global Art Market Report 2024 di Art Basel.
In Italia, l’IVA applicata alle vendite d’arte risulta uno degli ostacoli principali: ammonta al 22%, una tra le più alte in Europa. A questi fattori si aggiunge la complessità burocratica legata all’esportazione di beni culturali, con richieste di autorizzazioni specifiche per beni che superano i 50 anni, e la presenza di dazi per l’importazione da paesi extra-UE, che possono incidere fino al 5% sul prezzo finale delle opere. La Francia, in confronto, per incentivare gli scambi e rendere Parigi più attrattiva, applica un’aliquota ridotta del 5,5% per le transazioni artistiche. Detto ciò, nonostante la ricchezza artistica del paese, queste barriere fiscali e normative rendono il mercato italiano meno competitivo e, con l’arrivo dei dazi, si presenta il rischio di partire svantaggiati.
Franco Dante, commercialista esperto di fiscalità dell’arte spiega che “non c’è solo il timore dei dazi sulle opere: un rischio da non sottovalutare sarà la chiusura dei confini americani anche per gli artisti. Sarà più difficile l’ingresso negli Usa anche per gli italiani. Il protezionismo danneggia il sistema dell’arte. E poi la sensazione d’incertezza regna in Europa e sull’ombrello protettivo della Nato. I timori di una pace ingiusta tra Ucraina e Russia e del ridursi dell’impegno militare americano toglierà serenità anche all’investimento in arte. I dazi penalizzano movimenti di denaro e le economie interne europee soffriranno a causa di un export ridotto. Ci saranno meno soldi per l’arte, per noi sarà più difficile esportare la nostra arte e sarà più difficile per i collezionisti europei investire”.
Come comportarsi quindi?
Esistono strategie per attutire l’impatto? Francis Petit, in un intervista del Giornale dell’Arte, dice: “Non proprio. L’unica soluzione, da commerciante, è ripensare ai pezzi che si venderanno, ma naturalmente la scelta per una fiera può richiedere mesi, se non anni. Per gli espositori non sarà così facile cambiare rotta”. E prevede che a esserne più colpita sarà la fascia media e bassa del mercato. “Le opere eccezionali e uniche probabilmente se la caveranno, in quanto l’acquirente pagherà un extra. Ma ci sarà un impatto sulla fascia di prezzo più bassa, perché il mercato è molto sensibile ai prezzi. La buona notizia è che è un buon momento per acquistare opere d’arte già presenti negli Stati Uniti, ad esempio alla fiera Art Basel di Miami Beach. Spendete i vostri soldi ora, prima che le tariffe entrino in vigore!”.
Gli esperti, infatti, consigliano di approfittare del momento di tregua ed agire rapidamente, in questo momento d’instabilità e volatilità. Ma queste tariffe, d’altra parte, non dureranno per sempre. È stato anche ipotizzato che queste nuove proposte potrebbero non concretizzarsi del tutto, in quanto, molto spesso il presidente americano “usa la comunicazione dei dazi per un suo vantaggio immediato e non mette in pratica ciò che dice”, ha detto Matteo Sormani, CEO e fondatore di Art Preview, una galleria con sede a Città del Messico e Miami.
“Anche in tempi incerti ci sono ancora opportunità, soprattutto per i collezionisti e gli investitori con una visione a lungo termine”, ha affermato Petit. “Ci sono così tante opere da vedere e da acquistare, e quando il mercato è più “morbido”, potrebbe essere un momento opportuno per cogliere le opportunità che possono presentarsi nonostante le sfide economiche”. Il mercato dell’arte, d’altronde, ha sempre dimostrato di sapersi adattare in qualche modo a periodi di incertezza. Un consiglio? Rimanere informati, flessibili e pianificare in modo prudente.