Il 15 settembre prossimo saranno 9 anni esatti dall’inizio di una delle più importanti crisi della storia finanziaria internazionale. Una crisi di cui ancora, qui in Italia, si sentono i riflessi. Ma in quello stesso giorno, mentre il colosso statunitense Lehman Brothers si sgretolava, a Brescia, tra Via Carlo Cattaneo e Piazza Tebaldo Brusato, negli splendidi locali del cinquecentesco Palazzo Cigola – Fenaroli, iniziava la “nuova vita” della Casa d’Aste Capitolium. La società fondata nel 1988 da Rudiano Rusconi e, fino a quel momento, tutta concentrata sui dipinti e gli arredi antichi e dell’Ottocento passa, infatti, nelle giovani mani dei fratelli Giorgio e Gherardo Rusconi, figli di Rudiano, che cambiano il marchio in Capitolium Art e lanciano la prima asta di arte moderna e contemporanea. Assieme a Gherardo Rusconi, Direttore responsabile del Dipartimento Modern & Contemporary Art della casa bresciana, ripercorriamo oggi la la storia di una delle realtà più dinamiche e in costante ascesa del nostro mercato. Un’occasione anche per il fare il punto, tra vizi e virtù, sul nostro mercato a poche settimane dalle prime aste autunnali.
Nicola Maggi: Capitolium sta per compiere 30 anni, ma la storia del vostro dipartimento di arte moderna e contemporanea è molto più recente…
Gherardo Rusconi: «La casa d’aste è stata fondata da mio padre che si occupava soltanto di arte antica. Nel 2008 io e mio fratello siamo entrati operativamente nella società riformulando dinamiche e obbiettivi cercando di modulare una piattaforma che potesse soddisfare i requisiti che il nuovo mercato iniziava ad esigere. Decidemmo dunque di impegnarci a diversificare l’offerta aprendo nuovi dipartimenti (ad oggi sono sette: arte moderna e contemporanea, arte antica, fotografia, arte orientale, design, gioelli e orologi e vini rari). Forti della mia passione per l’arte moderna e supportati da un bacino di opere messe a disposizione da un collezionista ex gallerista di Milano, oggi purtroppo venuto a mancare, decidemmo di inaugurare il Dipartimento di Arte Moderna e Contemporanea».
N.M.: Peraltro avete iniziato a battere in un momento decisamente non felice per l’economia italiana ed internazionale… la prima asta di arte moderna e contemporanea, se non erro, l’avete organizzata nel 2008…
G.R.: «La prima asta di arte moderna, con un modesto ma bel De Maria di provenienza privata in copertina, è stata battuta il 30 Novembre del 2008 a un mese e mezzo di distanza dal fallimento di Lehman Brothers (data solitamente utilizzata per sancire l’inizio della crisi). Di certo l’andamento non soddisfacente dell’asta non ebbe a che fare con la recessione. Il catalogo è tutt’oggi online e passando in rassegna le opere (poche e con valori assolutamente incongruenti tra loro) ci si può fare un’idea piuttosto precisa dell’insuccesso della vendita. Dopo l’asta iniziarono però a proporsi i primi fornitori e con alcuni di essi lavoriamo ancora oggi. Il dipartimento era avviato».
N.M.: Nonostante la crisi e le difficoltà economiche siete riusciti a ritagliarvi un vostro spazio in un mercato molto competitivo, come ci siete riusciti?
G.R.: «La crisi imperversava, chiunque piangeva miseria, i prezzi erano crollati e commercianti e colleghi non facevano altro che parlare dei fasti del periodo appena trascorso e purtroppo finito. Ma c’era bisogno di soldi e noi in qualche modo rappresentavamo una risorsa. Si faceva comunque molta fatica e per garantirci la liquidità necessaria decidemmo di aumentare il numero di aste e tagliare i costi al minimo. Quindi niente cataloghi ed esposizioni (visione dei lotti solo su appuntamento per evitare il diritto di recesso), tutto online, più veloce e meno costoso. La nostra vera risorsa fu prima credere e poi investire in internet».
N.M.:Qual è stato il momento più esaltante di questi 8 anni di aste?
G.R.: «Il nostro lavoro è focalizzato sulla ricerca e, almeno per quanto mi riguarda, nulla è più esaltante di una bella scoperta. Tra il 2009 e il 2011 ci siamo imbattuti in tre collezioni frutto di tre diverse eredità. Una per anno. Furono tre incontri fondamentali per la nostra storia che ci garantirono crescita in economia e credibilità».
N.M.: E quello più “tragico”…
G.R.: «Siamo partiti da zero e fino ad oggi siamo sempre cresciuti. Le difficoltà sono state tante ma di carattere fondamentalmente gestionale. Non riesco a individuare episodi definibili tragici».
N.M.: Una nuova stagione di aste sta per iniziare. Quali sono le vostre aspettative?
G.R.: «Abbiamo un po’ di progetti in essere relativamente alle strategie e all’organizzazione interne al dipartimento ma non credo che risultati concreti potranno essere visibili prima dei primi mesi del 2018. La congiuntura pare comunque essere buona quindi potremmo eguagliare il fatturato dell’anno scorso, obbiettivo che ritengo soddisfacente».
N.M.: Il calendario autunnale delle vendite italiane di arte moderna e contemporanea è ancora in via di definizione, ma già si preannuncia un novembre decisamente congestionato… un problema che avete più volte sollevato…
G.R.: «E’ abitudine tipicamente italiana sacrificare due mesi all’anno per le festività (agosto e dicembre/gennaio). Collocare dunque le vendite in prossimità di questi due periodi è il modo migliore per ottimizzare il tempo a disposizione per la raccolta delle opere prima dell’asta e per il reperimento dei pagamenti dopo. Una volta identificate le posizioni migliori è normale che non le si voglia lasciare ai concorrenti. Questo percorso naturale però crea, come già detto, dei colli di bottiglia perché la base dei compratori non è sufficiente per soddisfare un’offerta improvvisamente così ampia. Quasi tutte le big italiane hanno occupato il periodo caldo e se ne aggiungeranno altre. Dal 20 novembre fino al 4 dicembre ci saranno più di un’asta al giorno. Soltanto Boetto per adesso ha collocato ad ottobre la sua licitazione mentre Meeting è onnipresente come al solito. Noi ci attesteremo ai primi di Novembre sperando di anticipare la ressa. Il catalogo sarà comunque bello, abbiamo già delle opere sfiziose in magazzino».
N.M.: Quello del calendario, però, non è il primo problema del nostro mercato, sono diverse le “zavorre” che tengono a freno il nostro mercato che ultimamente a ripreso a crescere, ma che potrebbe forse fare d più…
G.R.: «L’economia italiana in generale è vittima di tanti problemi tra cui una tassazione troppo alta e poca chiarezza delle regole. Questo clima allontana i grossi capitali e inibisce le possibilità d’investimento a lungo termine. Nel nostro settore assistiamo a operazioni economiche su singoli artisti o su specifici movimenti artistici di carattere troppo breve e altamente speculativo. La casa d’aste, spesso, attraverso i risultati d’asta, ne è la più chiara espressione. I vantaggi momentanei però non sono paragonabili alle garanzie che un mercato stabile e in crescita costante può offrire».
N.M.: Un altro problema che avete più volte messo in evidenza è quello degli archivi…
G.R.: «La questione è complessa. Confrontandomi con colleghi e commercianti la sensazione comune è di forte disagio e sfiducia pur essendo presenti, ed è giusto segnalarli, esempi di efficienza e correttezza. I problemi sono diversi. Come anticipavo, a farla da padrone è la mancanza di una regola precisa o la compresenza di regole che si contraddicono. La panoramica degli autenticatori poi è troppo variegata in qualità e quantità: artsti, archivi, figli degli artisti, assistenti degli artisti, fondazioni, gente improvvisata, personalità auto-elette, parenti di un parente dell’artista, comitati scientifici, speculatori, doppi archivi, doppi figli, doppie mogli, galleristi…. I tempi di risposta sono in quasi tutti i casi insufficienti e in alcuni inesistenti. Una casa d’aste di modeste dimensioni come la nostra ha dovuto dedicare un ufficio a tempo pieno per le autentiche. Considerando poi che l’autorità degli archiviatori muta con troppa disinvoltura il messaggio che diamo agli investitori ancora una volta è insufficiente».
N.M.: Qualcosa però è iniziata a cambiare con le nuove norme sulla libera circolazione dell’opera d’arte varata dal governo… norma che, peraltro, ha suscitato aspre polemiche…
G.R.: «Ritengo che queste polemiche abbiano a che fare con una visione ridotta della situazione. Quando le limitazioni diventano restrizioni come in questo caso il mercato ne risente. La difesa del patrimonio è sacrosanta ma non dev’essere esercitata a discapito degli operatori del settore. Sarebbe utile piuttosto che lo Stato intervenisse favorendo l’acquisizione di opere da parte di musei pubblici o enti privati. Ovviamente il discorso merita una visione più articolata, ma una cosa è certa: investire in un patrimonio di elevata qualità come il nostro non è sicuramente antieconomico».