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Arte o plagio? Nuovamente condannata l’arte “appropriativa” di Koons

del

La Corte di Appello di Parigi non ha dubbi: Koons ha copiato un’altra volta.

Confermando quanto già deciso dal Tribunal de Grande Instance nel novembre 2018, i giudici transalpini, con decisione del 23 febbraio 2021, hanno infatti stabilito che l’opera Fait d’Hiver del 1988 di Jeff Koons è una contraffazione dell’omonima fotografia realizzata nel 1984 dal fotografo Franck Davidovici per una pubblicità del marchio di abbigliamento Naf Naf.

L’opera di Koons – parte della serie Banality – rappresenta una donna distesa sulla neve accanto a un maiale, che porta al collo una piccola botte del tipo di quelle utilizzate dai cani San Bernardo e che le annusa i capelli con il grugno, e riprende appunto gli stessi elementi presenti nella fotografia dalla quale trae ispirazione, ritenuta dai giudici opera originale proteggibile dal diritto d’autore.

La scultura, realizzata in ceramica, era stata esposta nell’autunno del 2014 nella grande retrospettiva dedicata all’artista statunitense presso il Centre Pompidou, costretto a ritirare l’opera dall’esposizione pochi giorni dopo l’inaugurazione a seguito di un provvedimento di sequestro ottenuto da Davidovici.

Le argomentazioni difensive di Koons non hanno convinto la Corte di appello parigina, per la quale le somiglianze tra l’opera contestata e la campagna pubblicitaria di Davidovici risultano nettamente predominanti rispetto alle differenze. Al fotografo è stato così riconosciuto un danno pari a 190.000 Euro, cui sono stati condannati in solido Koons, il Centre Pompidou, la Fondazione Prada – proprietaria dell’opera acquistata nel 2007 da Christie’s New York per circa 2,8 milioni di sterline – e la società Flammarion, editrice del catalogo della mostra che conteneva un’immagine dell’opera.

Franck Davidovici, Fait d’hiver, 1985. Foto realizzata per la campagna pubblicitaria NAF-NAF

Secondo i giudici francesi, infatti, non è possibile considerare l’opera di Koons una parodia della fotografia di Davidovici ai sensi dell’art. 122-5 del Codice della proprietà intellettuale francese, non essendo presente l’elemento della “presa in giro”.

Neppure è stato ritenuto applicabile l’art. 10 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo che sancisce il diritto di libertà di espressione, poiché non considerato prevalente rispetto alla protezione dei diritti economici e morali dell’autore di un’opera dell’ingegno sancito dall’art. 27 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.

Così come non ha convinto la Corte la difesa di Koons secondo cui, sulla scorta della poetica propria dell’appropriation art inaugurata da Duchamp e dei movimenti del Ready Made e della Pop Art (in tema di tutela giuridica di questa forma d’arte cfr. Riflessioni in tema di tutela giuridica dell’appropriation art in ambito figurativo, in AEDON, 2019/3), il messaggio artistico trasmesso dalla sua scultura sarebbe stato completamente diverso da quello espresso nella fotografia di Davidovici.

L’artista statunitense aveva infatti sostenuto che la propria Fait d’Hiver rappresentava, così come tutte le altre sculture della serie Banality, un’apologia della banalità realizzata attraverso l’uso di immagini, oggetti e riferimenti presi in prestito dalla cultura pop. Secondo i giudici, tuttavia, non essendo la fotografia di cui Koons si è “appropriato” familiare al grande pubblico, questo non è in grado di instituire un collegamento tra le due opere e percepirne così la pretesa trasformativa.

Come è noto, questa sentenza di condanna è l‘ultima di tante.

Nel 2019 la stessa Corte francese aveva ad esempio confermato la decisione con la quale tre anni prima il Tribunale di Parigi riconosceva che la scultura Naked, sempre parte della serie Banality e riprodotta on line e sui materiali promozionali della mostra retrospettiva organizzata dal Pompidou (ma non esposta al pubblico per asseriti danni riportati durante il trasporto), costituiva violazione dei diritti d’autore dell’opera Enfants, fotografia scattata nel 1970 dal fotografo Jean-François Bauret e che riproduce due bambini nudi.

Anche in questo caso, infatti, i giudici francesi hanno affermato che l’opera di Bauret non è conosciuta dal grande pubblico, al quale mancherebbe dunque il necessario termine di paragone in grado di suscitare “un effetto comico o di critica tra due opere”.

Federica Minio
Federica Minio
Nata a Verona ma di famiglia veneziana, Federica è un avvocato esperto in diritto della proprietà intellettuale e dell’arte ed è stata tra le prime in Italia a laurearsi in diritto dei beni culturali. Prima di intraprendere la professione legale, ha lavorato in gallerie e fondazioni d’arte milanesi. Federica unisce la sua passione per l’arte, da sempre respirata in famiglia (assieme al profumo della trementina del papà pittore), al lato più creativo del diritto.

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