In questa strana primavera che a giornate di caldo intenso alterna temperature quasi invernali, il panorama artistitico italiano, complice la Biennale, è ogni giorno più interessante e la proposta delle nostre gallerie d’arte modernea e contemporanea particolarmente intrigante. Iniziamo da Milano dove la Osart Gallery propone, fino al 1° giugno, la collettiva “Where Thou Art – That – is Home“, che vede la partecipazione di Ikeorah Chisom Chi-FADA, Franklyn Dzingai, Feni Chulumanco, Sethembile Msezane e Katlego Tlabela.
Cinque artisti che mettono al centro della propria pratica lo spazio casalingo che, reso vero e proprio soggetto al pari della presenza umana, dà vita a narrazioni neorealistiche, metafisiche e concettuali. Da qui la scelta del titolo della mostra, “Dove tu sei – quella – è casa”, il verso iniziale di una poesia di Emily Dickinson che esplora il tema della devozione e del potere assoluto dell’amore. Dove sono i nostri affetti, quella è casa, fisica o immaginata che essa sia.
Sempre a Milano, da non perdere è certamente la mostra “Gordon Matta-Clark. Contemporary is Tomorrow”, allestita negli spazi della Galleria Montrasio in via di Porta Tenaglia 1. Curata da Alberto Salvadori e Azalea Seratoni, la mostra presenta una serie di opere, oltre a documenti ed ephemera, con uno sguardo straordinariamente complessivo sull’opera di Gordon Matta-Clark, concentrandosi su alcuni momenti della sua attività artistica: i soggiorni milanesi e genovesi che risalgono agli anni 1973-1975 e il suo rapporto con il collezionismo italiano ed europeo.
E’ nel 1973, ad esempio, che a Milano, dove arriva insieme alla compagna Carol Goodden, impegnata in un tour europeo con la Trisha Brown Dance Company che prevede una tappa alla galleria di Franco Toselli a Milano, che Matta-Clark realizza Infraform (1973), una sequenza di tagli triangolari nella fabbrica Brown Boveri, nel quartiere Isola. Intervento che fa parte di quei suoi “building cuts” che lo resero famoso e in cui il taglio diventa metafora: è insieme critica e protesta verso la cultura, non solo
architettonica, e la società.
A Brescia, invece, è ancora visitabile per poco la bella mostra Fermata Sospesa dell’artista francese Nathalie Du Pasquier. Allestita negli spazi della Apalazzogallery, la personale ruota intorno a un corpus di lavori composto da dipinti a olio e costruzioni in legno di varie dimensioni, tutte realizzate a cavallo tra la fine del 2023 ed inizio del 2024.
Lavori in cui l’oggetto viene rappresentato nella sua pura ossatura geometrica, nella sua essenza bidimensionale, dove il colore creare un armonioso gioco di equilibri tra le forme. Il tutto incentrato sulle ultime riflessioni dell’artista, ex ed unico membro femminile del collettivo italiano di design Memphis, su cosa significhi essere un’artista nell’epoca contemporanea
Decisamente interessante, a Bologna, è poi la proposta della Galleria Studio G7 che fino al 15 giugno ospita la prima personale dell’artista Silvia Listorti dal titolo Clinamen. La mostra, accompagnata da un testo di Federico Ferrari, presenta 5 opere inedite che dialogano apertamente con lo spazio espositivo, amplificatore del corpo umano e delle sue molteplici sfaccettature.
Listorti invita a riflettere sulla natura mutevole e fragile dell’esistenza attingendo al concetto di “Clinamen” epicureo, per cui s’intende la deviazione spontanea degli atomi nel corso della loro caduta nel vuoto in linea retta. Attraverso la loro diversa aggregazione si dà origine alla formazione delle cose e l’artista attua la stessa logica accostando materiali e tecniche diverse nei suoi lavori.
Ci offre, invece, l’occasione di un salto nel tempo un’altra protagonista della scena artistica bolognese: la Galleria Spazia, che dal 9 maggio prossimo, con “MI – RO | anni ’50e ‘60”, presenterà al pubblico una selezione di opere che vuole rendere omaggio ad una stagione artistica irripetibile, quella sviluppatasi tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta tra Roma e Milano.
Due città che rappresentano anche due modi diversi, quasi contrari, di fare arte e di essere artista nel quotidiano. Tanto da dare vita ad una sorta di contrapposizione tra “Ragione e Trasgressione”, tale è la differenza tra il freddo e lucido razionalismo, con una ricerca volta a negare la pittura, tipico degli artisti che operavano a Milano, e un ritorno alla pittura più calda, più passionale tipica degli artisti romani tra anni ’50 e ’60.
Protagonisti di questo racconto: Vincenzo Agnetti, Gianni Colombo, Toni Costa, Dadamaino, Gianni Dova, Lucio Del Pezzo, Leoncillo Leonardi, Luigi Mainolfi, Edgardo Mannucci, Fausto Melotti, Luigi Ontani, Giulio Turcato, Nanni Valentini
Per chi si trova a passare dalla capitale, invece, consigliamo la visita alla bella collettiva che, fino al 25 maggio, è allestita presso Anna Marra Contemporanea: “How Do You Want to See Yourself”. Curata dal critico americano di origini ghanesi Larry Ossei-Mensah, la mostra offre l’accasione di una profonda riflessione sulla complessità che definisce il percorso delle persone di colore in tutto il mondo.
Attraverso le più svariate tecniche – tra cui pittura, collage e fotografia – le opere di Adegboyega Adesina, Kwesi Botchway, Cydne Jasmin Coleby, M. Florine Démosthène, Jammie Holmes, Jerrell Gibbs, YoYo Lander, Stephen Langa, Joiri Minaya, e Lauren Pearce offrono spunti sagaci sulla percezione di sé in una società spesso incline a negare l’umanità e la visibilità delle persone di colore.
Per finire, la Galleria Nicola Pedana di Caserta, ospita invece la prima mostra personale europea del giovane artista californiano Kyle Austin Dunn, il cui titolo, “Motto”, rimanda al concetto che sta alla base dell’opera dell’artista e che, attraverso
la sua poetica, gli permette di esplorare in modo più approfondito l’essenza stessa del concetto di “motto” e di come esso possa influenzare e guidare l’individuo.
I suoi dipinti sono caratterizzati da una vibrante energia e una profonda ricerca di equilibrio tra forma e colore. Le linee che si intrecciano e si sovrappongono creano un’intensa varietà di tonalità e forme. L’artista opera sulla tela come una macchina precisa e meditata, sviluppando per ogni linea un criterio, una dimensione che vive in relazione alle altre. Come il motto, le forme che realizza si fanno espressione di un qualcosa di collettivo; lo sguardo così si omologa nell’atto interpretativo e sensoriale, indipendentemente dal punto di vista prospettico.