Diventare ricchi aprendo una galleria d’arte sembra essere una missione impossibile. Questo, stando a quando emerge da The Global Art Gallery Report 2016, il primo e più completo report sul settore globale delle gallerie commerciali d’arte realizzato da Magnus Resch e pubblicato in queste settimane da Phaidon. Per quanto conservino un ruolo importantissimo sul mercato dell’arte, le gallerie sono oggi, infatti, una realtà decisamente in difficoltà. I motivi? Più strutturali che non congiunturali. Se, come abbiamo visto analizzando anche i report di Tefaf e di Art Basel, il mercato dell’arte tutto sommato tiene, sul fronte gallerie sono infatti in pochi a beneficiare di questo andamento positivo. E la causa principale di questo trend, come spiega il rapporto di Magnus Resh, è che il business model delle gallerie è tutto tranne che efficiente. Tanto che oggi il 30% delle gallerie ha i conti in rosso: circa 5.700 su 19.000 le gallerie attive nel mondo.
Per quanto affascinante e seduttiva possa essere l’idea di fare il gallerista, d’altronde, dalle interviste condotto da Resch ad un panel di 8.000 gallerie emerge come occorrano addirittura tra i 25 e i 55 anni perché una galleria possa diventare una macchina per fare soldi. Ma oggi, solo un 7% del totale delle gallerie può vantare più di 45 anni di attività. Così il 55% delle gallerie d’arte ha un fatturato medio che non raggiunge i 200.000 $; un altro 29% si colloca nella fascia tra i 200.000 e il milione e, infine, solo un 16% supera il milione di dollari di turnover. E se i fatturati non sono brillanti, ancor meno lo sono i profitti, con solo un 18% delle gallerie d’arte oggi attive nel mondo che può contare su guadagni reali superiori al 20% del fatturato, mentre il 22% si colloca tra l’11 e il 20% e il 30% tra lo 0 e il 10%. Una relazione, quella tra fatturati e profitti, che la dice lunga sullo stato di salute di un settore in cui i “costi di gestione” sono altissimi, tra affitti, salari, partecipazioni a fiere ed altro ancora. Anche se non sono solo i costi a pesare sui bilanci delle gallerie d’arte.
In Italia ci sono più gallerie d’arte che in Cina
Secondo le ultime stime sarebbero 950 le gallerie d’arte attive oggi in Italia. Più che in Svizzera, Giappone e Cina. Tanto che il nostro Paese che si colloca al 5° posto nel ranking mondiale con Milano che entra nella Top 10 del mercato internazionale delle gallerie d’arte con 190 realtà. Sono questi alcuni dei numeri che emergono da The Global Art Gallery Report 2016 di Magnus Resch. Il tutto per un mercato che, a livello internazionale, vede attive ben 19.000 gallerie in 124 paesi per un totale di 3.533 città. Top Country di questo settore del mercato dell’arte: gli Stati Uniti e l’Europa che, da soli, rappresentano l’83% di un comparto che oggi ha le sue capitali in New York (6%), Londra (5%) e Berlino (4%). Il 93% delle gallerie che si occupa di belle arti, inoltre, ha un focus specifico sull’arte contemporanea, mentre il 16% punta sulla Post-War art e il 23% su quella moderna. Pochissime le gallerie specializzate nei cosiddetti Old Master (5%) o nell’Ottocento (10%). Ma se queste sono le cifre che ci danno le dimensioni di questo comparto, dal report di Resch emerge in modo fin troppo evidente, come quello delle gallerie sia un settore tutt’altro che florido, con tante realtà dai conti i rosso e un pubblico che conta più Art Enthusiast che collezionisti.
Il miraggio dell’arte contemporanea
Tra i problemi che affliggono questo settore, infatti, sembra esserci lo stesso orientamento delle gallerie che, come detto, sono sempre più concentrate sull’arte contemporanea, cavalcando un trend determinato dal mondo delle aste. Ma se qui le vendite di Post-War and Contemporary Art fanno registrare record su record, spiega Resch dati alla mano, «è interessante vedere se l’arte contemporanea ha un impatto positivo sui margini di guadagno. I risultati sono sorprendenti: l’arte contemporanea è il settore meno redditizio, con un margine medio di profitto di appena il 6%. Mentre gli Old Master son quelli che hanno i profitti maggiori (17%), seguiti dall’arte dell’Ottocento (11%) e dall’arte moderna (10%)». Ma se questo è quanto emerge dall’analisi condotta tra le gallerie di tutto il mondo, più difficile appare il trovare una motivazione a questo stato di cose.
Tra le ipotesi più accreditate, il fatto che «mentre il valore di questo segmento è immenso, questo è anche concentrato in un minuscolo gruppo di nomi chiave, pompato da pezzi rari che raggiungono prezzi incredibili. In altre parole, il volume – il numero delle opere d’arte – è incredibilmente alto, ma il valore è creato da un piccolo numero di artisti dominanti. Mentre gli altri sgomitano per farsi spazio in un mercato sovraffollato. E la maggior parte delle gallerie d’arte, vendendo artisti che stanno al di fuori del cerchio magico dei grandi nomi, si trovano ad affrontare una competizione durissima con margini di profitto molto bassi.
Un entusiasmo troppo platonico…
Come se non bastasse, secondo il Global Art Gallery Report 2016 sembra che le gallerie siano oggi frequentate dal pubblico sbagliato. Per vivere una galleria ha infatti bisogno di trasformare un visitatore in acquirente, ma se si vanno a vedere i dati relativi a chi frequenta oggi le gallerie d’arte si scopre che i visitatori più assidui sono gli Art Enthusiast – che amano l’arte ma non hanno intenzione alcuna di fare acquisti – e il pubblico da opening: ossia tutti coloro che vanno ai vernissage per motivi prettamente sociali. Due tipologie di pubblico che hanno una loro importanza ma che, a livello di fatturati, contano veramente il giusto. Solo al terzo posto arrivano i Collezionisti seguiti dai passanti e, infine, gli altri professionisti del mondo dell’arte.
…e un mercato troppo competitivo
Pochi settori economici hanno un tasso di competitività come quello dell’arte contemporanea. E questo diventa un fattore critico quando l’offerta supera la domanda. Ma chi sono i principali competitor delle gallerie d’arte contemporanea? I dati dell’indagine pubblicata nel Global Art Gallery Report 2016 lasciano pochi dubbi: le altre gallerie, i mercanti, gli artisti, le case d’asta e le piattaforme online. E se vedere gli artisti al terzo posto, prima addirittura delle case d’asta, vi meraviglia, sappiate che sono in tanti quelli che vendono le proprie opere direttamente nel proprio studio, riducendo così i margini di profitto delle gallerie. Dovrebbe stupire di più, invece, secondo Resch, il vedere le piattaforme online solo al quinto posto: «In un momento in cui le nuove start-up nel mondo dell’arte sono sempre di più – si legge nel rapporto – sorprende vedere come le gallerie non comincino a vedere le piattaforme online come una vera minaccia».
Tutto questo fa sì che, se nel mondo delle aste le realtà “secolari” sono diverse, in quello delle gallerie solo un 7% può vantare più di 45 anni di carriera. Mentre circa la metà delle gallerie d’arte oggi attive nel mondo sono nate negli anni Duemila (il 12% dopo il 2010) e poco più del 40% dagli anni Settanta ad oggi. «Le gallerie – si legge nella frase di chiusura del rapporto – semplicemente non posso replicare la sostenibilità storica delle case d’asta. Anche se potentissime come Gagosian, non hanno un piano di successione chiaro». Una chiusura che ha un po’ il sapore dell’epitaffio…