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Apertura, dialogo e condivisione per una nuova idea di eredità culturale

del

Chissà quante volte ci siam sentiti dire davanti ad un quadro, in fila dietro ad una guida dalla bandierina alzata, circumnavigando in taxi il monumento simbolo della città o seduti vicino al libro di storia dell’arte “Fa parte della nostra eredità culturale”; certamente tante volte e ce ne saranno state anche tante altre, quasi a far divenire nel tempo queste parole portatrici di un senso molto alto un’interpunzione senza troppo significato, o quasi.

E bene, non ci crederete, ma nell’Italia della conservazione dei beni culturali mai parole hanno destato tanto scompiglio negli ultimi anni quanto quelle di eredità culturale o che dir si voglia cultural heritage.

Tenterò così di scriver non sottovoce alcuni pensieri un po’ sghembi e un po’ scomposti intorno a quello che per alcuni è un concetto evoluto in un manifesto, per altri rimane un’interpunzione e per altri ancora un argomento ormai ritenuto viziato da nuove sfumature dettate dalla recente approvata non senza discussioni e scompigli Convenzione di Faro.

La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, adottata a Faro, in Portogallo il 27 ottobre 2005, entrata in vigore nell’ottobre 2011 e approvata in via definitiva in Italia il 23 settembre 2020 alla Camera dei deputati è un nuovo strumento giuridico che nasce dal confronto fra quaranta Stati europei sulle macerie e i danni arrecati al patrimonio culturale dai recenti conflitti verificatisi in Europa.

La Convenzione, ad oggi ratificata da 19 Paesi membri del Consiglio d’Europa e così come la presenta l’UNESCO, si fonda sul presupposto che la conoscenza e l’uso dell’eredità culturale rientrino pienamente fra i diritti umani, ed in particolare nell’ambito dei diritti dell’individuo a prendere liberamente parte alla vita culturale della comunità e a godere delle arti, come previsto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966.

L’intenzione, dichiara testualmente la Convenzione, è quella di promuovere sia una comprensione più ampia del patrimonio culturale sia il rapporto con le comunità, incoraggiando a riconoscere l’importanza degli oggetti e dei luoghi non solo nel loro valore assestante, come per altro già recepito nei testi di legge adottati in Italia ne è esempio il Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma anche in ragione dei significati e degli usi loro attribuiti sul piano culturale e valoriale dalle persone.

La partecipazione dei cittadini alla vita e alle attività culturali, in questo modo, diventa un elemento imprescindibile per accrescere la consapevolezza del valore del patrimonio culturale e del suo contributo al benessere e alla qualità della vita.

Fermo restando tutela e conservazione come concetti e azioni prioritarie, la valorizzazione si prende buona parte del palcoscenico in un processo virtuoso e centrale al fine di rileggere, tradurre e interpretare il passato.

Valorizzazione come portatrice di coscienza critica e di significato, capace di contaminare le azioni culturali contemporanee in materia non solo di arte ma anche di socialità, democrazia, pacifica convivenza.

Poi la Convenzione apre un’altra pagina molto importante e che oggi non può mancare in un testo che si occupa di patrimonio ed eredità culturale ed è quella fondamentale dello sviluppo sostenibile che il patrimonio culturale è in grado di promuovere.

Un aspetto affatto trascurabile soprattutto oggi che la pandemia di COVID-19 ci ha costretti a ritmi lenti e forse ad una nuova sperata consapevolezza sul fondamentale rispetto che dobbiamo all’ambiente e a noi stessi.  

E in fine, eredità culturale come apertura tra culture, sinergia di competenze e protezione delle diversità culturali di fronte ad una standardizzazione crescente dovuta dalla mondializzazione in atto. Questa per sommi capi la Convenzione con i suoi obiettivi e con la nuova dimensione di significato di patrimonio ed eredità culturale.

Non entrerò nel merito specifico delle critiche apportate al disegno di legge e non sosterrò chi ha identificato invece questa Convenzione come un’idea rivoluzionaria. No, non credo lo sia. Possiamo parlare di un nuovo approccio quindi al concetto di eredità e di bene culturale? Un nuovo approccio, si.

O meglio, evidenzia una realtà di fatto già operativa nel campo della valorizzazione dei beni culturali e generatrice di best practis che necessariamente andava illuminata, sostenuta, tradotta e organizzata in un testo giuridico condiviso in una dimensione sovrannazionale. Una questione di metodo potremmo anche dire.

Un testo probabilmente perfezionabile che apre però la pista a nuove opportunità. E non è poco. Non è affatto poco. Ma oltre all’importanza della nuova accezione di beni ed eredità culturale, ed oltre all’importanza del metodo di valorizzazione, trovo che la Convenzione in oggetto abbia arricchito dai diversi pulpiti tecnici e politici internazionali il dibattito attorno a temi che riguardano conservazione, patrimonio, conoscenza e probabilmente questo rimarrà uno tra gli aspetti più importanti della vicenda.

L’apertura verso una visione fluida del concetto di beni culturali, una classe già eterogenea per definizione che si arricchisce di stratificazioni di contenuto dovute alle visioni e al senso che genera il confronto con l’uomo e con la società che cambia attraverso il tempo.

Una visione marcatamente paneuropea che non toglie nulla all’Italia ma aggiunge diversità, evidenzia tradizioni ed eccellenze in un dialogo disciplinato con l’altro.

Insomma: ricerca, apertura, dialogo, confronto, pratiche, crescita, contaminazione, costruzione di bellezza, condivisione.

Chissà che non abiti proprio in queste parole la nostra vera eredità culturale. Da Faro correndo indietro all’epoca classica, passando per il medioevo e attraversando il rinascimento e le tante altre rivoluzioni di pensiero, italiani giganti senza paura nel confronto con i grandi e abili nel sintetizzare le preziose esperienze culturali che da mondi lontani hanno attraccato nelle coste che cingono lo stivale o percorso sentieri tra le nordiche alte vette bianche. Maestri nel fare di queste esperienze nostre virtù in tecnica, scienza, bellezza ed etica. Geniali nel costruire, integrare e armonizzare le competenze, nel rinnovarci e nell’elevarci con intuizioni e mani esperte. Grandi pedagogisti ed educatori, ammirabili nel trasferire i saperi.

Quadro più, statua meno abbiamo un’eredità culturale magnifica. Continuiamo a esserne portatori.

Alice Lombardelli
Alice Lombardelli
Laureata in Storia dell'arte al Corso di Conservazione dei beni culturali dell'Università di Urbino, specializzata in didattica e divulgazione dei beni culturali, esperta in politiche culturali, lavora nel campo della valorizzazione.

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