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SpY: te la do io la luna!

del

Ci sono artisti che ogni tanto compaiono sulla scena dell’arte, isolati, eroici e titanici. Altri invece crescono nelle accademie, nelle scuole, nei circoli culturali, si riconoscono in correnti, frequentano gallerie, critici e curatori.

A volte, questi ultimi possono giungere a rivestire ruoli anche di primo piano ma, generalmente, operano nell’ambito della declinazione di pensieri e poetiche altrui oppure nello sviluppo di temi da altri generati e proposti.

Chi nasce eroe, nasce e cresce da solo, ha la strada come scuola e la consapevolezza del proprio essere artista gli deriva pian piano, solo di poco precedendo il plauso generale.

Questi artisti sono i geni, gli innovatori, quelli che sanno guardare avanti e non si voltano mai. Uno di questi è sicuramente lo spagnolo che si cela dietro lo pseudonimo SpY.

Di lui si sa pochissimo e pochissimo dice, per questo mi ritengo privilegiato per essere riuscito ad ottenere un’intervista.

SpY NO, Japan & Spain, 2006. Courtesy: SpY

SpY inizia ad operare in Spagna negli anni ’80, utilizzando o modificando elementi di arredo urbano, segnali, cartelloni, pezzi di tubi, grandi manifesti. Chi lo conosce lo definisce un artista urbano; definizione quantomai generica.

Così operando dovremmo definire artista rurale Robert Smithson o Richard Long quando, come è noto, sono tra i massimi esponenti della “Land Art”. In un certo senso alla “Land Art” potrebbe afferire l’opera di SpY la quale, per altro, se ne differenzia immediatamente.

L’artista spagnolo, non ha scelto qualsiasi superficie terrestre o marina come propria superficie pittorica o come spazio creativo ma solo una parte di essa, la parte antropizzata per eccellenza: la città.

Molti artisti hanno rappresentato la città come sfondo di azioni umane o, per dirla con Hopper, come il palcoscenico e la scenografia dove si consuma il dramma del disorientamento umano, della solitudine e dell’abbandono.

La città è, invece, per SpY spazio di vita, non necessariamente drammatico, dove si svolge la commedia di tutti i giorni; è uno spazio che egli vuole puntualizzare, illuminare, colorare e modificare con l’accento dell’arte, con le pale della fantasia, con le scale e con le gru della poesia visiva.

Contemplando l’opera di SpY, il fruitore non si rattrista ma si bea, non riflette immediatamente sulla drammatica condizione umana, ma sull’esigenza di adeguarsi al flusso della vita e di alleggerire le proprie tensioni.

SpY, Luna, Madrid – Spain, 2019

Valga per tutte l’opera “LUNA”, per realizzare la quale l’artista si serve di una gru cui appende uno spicchio di luna illuminata. Ecco, chi aveva costruito quel quartiere della città o quei palazzi, si era dimenticato la luna e lui l’ha aggiunta. L’opera è perfetta, camminiamoci sotto, attorno, allontaniamoci ed ammiriamola.

Giuseppe Simone Modeo: Cosa intendi e come puoi definire l’arte urbana?

SpY: “Si potrebbe definire come l’arte che si sviluppa in ambienti urbani anche se, sotto questa etichetta, troppe forme di arte potrebbero essere comprese. Infatti nella definizione di arte urbana, si potrebbero inserire il graffitismo, il muralismo, le installazioni o gli interventi performativi nello spazio urbano con i propri canoni, i relativi formalismi e le loro diversità.

Nel mio caso, dopo molti anni di lavoro sulla strada, ho sviluppato un modo originale di vedere la città come mezzo artistico dalle grandi possibilità e come strumento per realizzare le mie attuali opere. Osservare ed essere ricettivo al dialogo con la città è stato per anni il processo ed il medium in cui mi sono immerso e dal quale ho espresso le mie idee”.

G.S.M.: Come ti sei avvicinato all’arte digitale e all’intelligenza artificiale?

SpY: “Il sistema educativo, compreso quello artistico, è generalmente basato su un sistema di ripetizione fino a quando non si raggiunge la specializzazione. Qualcosa di molto gratificante e  positivo per sviluppare qualità come disciplina e perseveranza.

D’altra parte, in tutti gli ambiti e in tutti i set, l’artista deve pagare un prezzo, spesso molto alto. Egli dovrà specializzarsi ed apprendere sempre di più nel proprio specifico settore d’intervento. In questo senso, credo totalmente nella natura interdisciplinare, nell’esplorazione, nella nella ricerca di nuovi strumenti che di solito non usi o che ti sono sconosciuti, perché ti fa sviluppare e avere nuove connessioni.

La conoscenza e le informazioni si scontrano con quelle esistenti per creare nuovi modi ed avanzare nuove proposte. In tal senso, l’arte digitale è un nuovo set, un nuovo campo che sto sperimentando e nel quale sto intrecciando elementi dell’immaginario urbano comune con strumenti digitali ed elettronici.

Al momento sto creando sculture cinetiche con elementi urbani comuni e di facile riscontro nelle strade di qualsiasi città e arte digitale basata su algoritmi di comportamento umano che vengono formalizzati in “pezzi” audiovisivi.

Per esempio, in “DATA” propongo una riflessione sulla rapida e profonda inclusione dell’intelligenza digitale in vari aspetti della vita quotidiana. In quest’opera, attraverso algoritmi, indago sui vantaggi o sugli svantaggi che le nuove tecnologie possono apportare nelle relazioni umane, aumentando o diminuendo la nostra libertà, la privacy o finanche il nostro modo di vedere la città e di emozionarci così come è avvenuto prima nella ricerca medica e nella tecnologia.

Mi interessa capire e lavorare sul comportamento umano contemporaneo in questo nuovo ordine digitale che, a volte, snatura le cose e le emozioni attraverso sempre più sofisticate tecnologie”.

SpY, DATA, Madrid – Spain, 2021. Photo: Rubén P Bescòs. Courtesy: The artist.

G.S.M.: E’ corretto dire che l’ambiente urbano rappresenta la superficie pittorica su cui agisce il tuo gesto creativo?

SpY: “Senza dubbio; essa è una cornice che offre grandi possibilità per lavorare e proporre progetti artistici. Dal micro, come piccoli interventi su un elemento urbano, al macro, con grandi installazioni nello spazio edificato.

A volte le città appaiono rigide ed inespressive, altre volte invece le strade si presentano come i vasi della circolazione di un organismo vivente. Io cerco queste ultime: esse sono la mia fonte di ispirazione e la mia tavolozza.

Non rappresentano uno spazio asettico come le gallerie, i musei o le fiere; esse sono in continua evoluzione e questo fa parte di un processo di crescita architettonica che ispira la produzione artistica.

Le mie proposte nello spazio pubblico hanno lo scopo di rendere i passanti complici della
la propria città, lasciando così da parte la monotonia che generalmente assorbe la loro vita nelle grandi città. Raramente troviamo rappresentazioni artistiche che irrompono nella vita quotidiana delle città per generare riflessione e dialogo tra creatori, città e cittadini”.

G.S.M.: Qual è il tuo rapporto con le gallerie d’arte e il mercato in generale?

SpY: “Il mercato si basa su un sistema di circoli esclusivi che operano con il sistema del “riconoscimento” e della “convalida”; a partire dal riconoscimento dei propri pari, gli artisti a quello delle gallerie e delle grandi fiere internazionali.

Purtroppo anche i critici d’arte, che pure si dicono indipendenti, fanno parte di questo sistema. Troppo poco spazio è lasciato al pubblico che, invece, dovrebbe, a mio parere, essere l’interlocutore primario.

Il mio scopo è quello di rivolgermi direttamente alla gente con l’obiettivo di generare riflessione e dialogo, mettendola in discussione e facendola lavorare come soggetto attivo e non passivo; in tal senso, l’ambiente urbano facilita e promuove ampiamente questo processo.

Naturalmente in questo percorso, per realizzare i miei progetti, mi trovo a collaborare con i diversi partecipanti a questi circoli, ma forse non ho seguito un percorso standardizzato di riconoscimento, dato che le gallerie, le fiere d’arte o i musei non sono i miei habitat abituali.

Attualmente sto preparando opere che dialogo tra lo spazio interno ed elementi dell’ambiente urbano, cercando di conferire loro – attraverso l’appropriazione e la trasformazione – nuovi sensi e significati alternativi”.

SpY, Barrier, Ostende – Belgium, 2020. Photo: Rubén P Bescòs. Courtesy: The artist.

G.S.M.: L’uso della luce come colore è un fatto puramente fisico o rappresenta il colore che lei pensa e mette nelle sue opere?

SpY: “La luce è uno degli strumenti con cui lavoro, sebbene sia qualcosa di per sé potente e seducente  che desta attenzione ed attrae.

Recentemente ho realizzato molte opere con la luce; esse riescono, infatti, a validamente trasmettere il messaggio di modificazione del paesaggio urbano.

Il colore nell’ambito delle creazioni ha sempre un significato e una portata concettuale ed una portata formale. Amo usare spesso il rosso per la grande tensione concettuale ed estetica che trasmette.

Usando uno stesso strumento, ad esempio un laser in 2 pezzi come mi è successo nelle opere “BARRIER” e “LIGHTHOUSE”, l’impostazione del colore riusciva a modificare significativamente il messaggio veicolato”.

G.S.M.: L’ambiente urbano o antropizzato è lo sfondo delle tue opere o è l’oggetto della tua rappresentazione artistica?

SpY: “L’ambiente urbano è parte dell’opera stessa così come i cittadini con cui interagisce e le situazioni che derivano da questa interazione. Guardo oltre il formalismo o l’estetica delle opere, che l’atteggiamento dell’artista del pubblico diventa il modo per costruire l’opera nella sua interezza.

Per esempio, nel progetto “CRISIS”, ho costruito la parola “crisis” con monete da 2 centesimi per un valore di € 1000, monete che sono scomparse in meno di 24 ore!

L’opera consisteva non nella rappresentazione grafica, attraverso le monete, della parola “crisi” ma nel dimostrare le conseguenze della crisi, ovvero che tante persone, in 24 ore, hanno avuto bisogno di pochi centesimi!

Stavo chiaramente cercando di provocare una reazione che avrebbe scatenato la scomparsa totale della parola. Avevo di proposito posto le monete ad una altezza accessibile facendole aderire alla superficie con una colla debole.

Il mio obiettivo era trovare il coinvolgimento del pubblico come parte attiva del lavoro. La performance è riuscita perfettamente anche se all’inizio non ero del tutto sicuro su come la gente avrebbe reagito.

Queste reazioni per me hanno davvero costruito l’opera, non il fatto di installarla o il risultato formale finale. Usare il denaro come materiale artistico per creare reazioni è un modo molto potente di ottenere il coinvolgimento del pubblico”.

Spy, CRISIS, Bilbao- Spain, 2015. Photo: Rubén P Bescòs. Courtesy: The artist.

G.S.M.: Se potessi scegliere, in quale città vorresti ambientare la tua prossima opera?

SpY: “Senza dubbio in Vaticano. Mi affascina l’idea di una grande sfera rossa o nera al centro della piazza delineata dalle colonne del Bramante e sottostante e riecheggiante la cupola di Michelangelo”.

Giuseppe Simone Modeo
Giuseppe Simone Modeo
Giovane Collezionista, Giuseppe Simone Modeo è laureato in Economia con una tesi sul legame tra Marketing ed Estetica. Per Collezione da Tiffany si occupa, principalmente, del rapporto tra economia e creatività, intervistando personaggi del mondo dell'arte.

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