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Arte e Finanza: senza buon senso perderanno tutti…

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Il mercato dell’arte, dopo decenni di reciproco sospetto, pare ormai (quasi) pronto per una sempre più evidente integrazione con i sistemi finanziari. In principio, il ricorso degli investitori al mercato dell’arte era rappresentato, in primo luogo, da acquisti privati dovuti a motivazioni, in parte, di natura estetica, in parte, di status. Il “valore economico”, in questo processo, rappresentava un elemento residuale.

Qualcosa è cambiato dopo la pubblicazione di vari studi che attestavano l’arte come un bene anticiclico, vale a dire una categoria di beni che, durante i periodi di recessione, non mostrava un calo dei prezzi, registrando talvolta anche delle variazioni incrementali. Ciò ha dato una nuova “vita” al mercato dell’arte, identificata come bene rifugio, generando un aumento degli acquisti.

Da quel momento in poi (siamo intorno agli anni 2000), la questione diviene meno lineare e, ad incidere sull’andamento del mercato, iniziano ad essere fattori eterogeni. Tra essi, di particolare rilevanza sono il crollo del mercato finanziario, che ha generato una spinta verso i cosiddetti “alternative assets” (categorie di investimento non tradizionali come auto d’epoca, vini pregiati e, appunto, opere d’arte).

Contemporaneamente, una maggiore concentrazione della ricchezza ha portato all’affermarsi di nuove forme di risparmio gestito (in particolare, i cosiddetti fondi di investimento) e all’emergere degli ultra-ricchi (UHNWI) con conseguente aumento del segmento “luxury”.

Accanto alle dinamiche di natura finanziaria, un altro fattore ha fortemente influenzato il rapporto tra arte e investimenti finanziari: l’ormai famosa transizione da un’economia a prevalente componente industriale, ad una prevalente componente di conoscenza.

Ciò ha portato città e intere nazioni a competere su nuovi terreni. Al centro dell’interesse, non c’erano più le città che mostravano maggiori dotazioni di “materia prima”, ma quelle che riuscivano ad attrarre i “capitali umani” più preparati, creativi e “disruptive” (innovatori).

Cambia così il volto delle città, che si rifanno il trucco attraverso progetti di rigenerazione urbana, che riqualificano prima le zone periferiche (porti e docks) per poi dirigersi verso quartieri e piazze sempre più centrali. È così che le città si riempiono di Musei, Music-Hall e spazi di socialità.

Ed eccoci ad oggi, con un mercato dell’arte sempre più “allineato” con le esigenze informative del sistema finanziario, anche se molto ancora resta da fare in tal senso, con un numero sempre maggiore di musei nelle città e con tantissimi gestori di fondi che, in parte come asset principale, in parte come alternative asset per diversificare il portafoglio di rischio, sono sempre più interessati all’acquisto di opere d’arte.

Quali saranno i prossimi passi?

Semplice.

La crescita di artisti emergenti porterà i gestori dei fondi ad associare all’acquisto di brand consolidati dell’arte (i vari Picasso, ecc.) che mostrano un tendenziale dei prezzi strumentalmente in positivo, anche l’acquisizione, intermediati da “esperti”, di giovani leve che dal punto di vista dell’investimento possono presentare rendimenti esponenziali. Acquisiti questi asset, sarà poi possibile, per tali fondi, avviare una politica di “prestito” delle opere più importanti presenti in portafoglio (i masterpieces, per intenderci) a favore dei nuovi musei.

Sarà forse possibile, condizionare tali prestiti all’esposizione delle altre “giovani leve” presenti tra gli investimenti fatti dal fondo, così che il “passaggio al museo” possa far lievitare (anche per poco tempo) le quotazioni dell’artista.

È questo il passaggio più delicato che bisognerà gestire con intelligenza. E tale intelligenza dovrà essere mostrata da tutte le parti in gioco: i direttori dei Musei e i comitati scientifici dovranno operare scelte di qualità, rinunciando, nel caso ce ne fosse l’esigenza, anche all’esposizione di un “pezzo” molto importante.

Gli esperti, che forniranno assistenza ai fondi, dovranno seguire la medesima logica qualitativa, proponendo soltanto artisti emergenti che presentino davvero una ricerca artistica in grado di generare opere di rilievo.

I gestori dei fondi dovranno infine accettare la “sfida” dell’arte emergente, acquistando differenti opere e accettando il “rischio” di detenere opere e artisti che presentino marginalità negative.

Senza questo passaggio, perderanno tutti.

Perderà il sistema culturale, che troverà esposte all’interno dei musei delle opere di valore dubbio; perderà il mercato dell’arte, che senza una crescente attenzione potrà trasformarsi in una minacciosa bolla finanziaria; perderanno gli “esperti” che non avranno più grandi acquirenti per le opere proposte. Ancora una volta, parte dei tendenziali economici è affidata al buon senso.

Speriamo non manchi.

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