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Fotografia: il collezionismo di Ettore Molinario

del

Il mondo del collezionismo fotografico è complesso e come in ogni campo ci si può purtroppo imbattere in truffe; per il collezionista Ettore Molinario l’iniziazione al mondo fotografica è stata piuttosto turbolenta. Come lui stesso ci ha raccontato, il suo primo acquisto è risultato un falso: un inizio poco promettente che non ha però scoraggiato Molinario nel perseverare in questo campo, creando una collezione di tutto rispetto. Una passione che lo ha indotto persino a proseguire gli studi ottenendo una seconda laurea seppur egli provenisse da un campo lavorativo totalmente diverso, quello assicurativo. La sua raccolta si basa per lo più su artisti affermati che hanno operato a partire dalla seconda metà del XX secolo. Una collezione che rispecchia la sua vita come, di fatto, ha affermato lui stesso e che riempie letteralmente la sua casa milanese rendendola un piccolo museo privato; una raccolta fotografica che cresce in simbiosi con lui da quando, vent’anni fa, ha deciso di investire tempo, passione e denaro nella fotografia…

Nicoletta Crippa: Come si diventa collezionisti e quando ha cominciato la sua raccolta?

Ettore Molinario: «E’ iniziata cominciando a comprare per sostituire in casa dei poster; la prima esigenza quindi è stata pratica, mettere qualcosa di carino alle pareti. Ho cominciando andando ad un’asta e comprando un lavoro che poi è risultato falso; la casa d’asta, una volta scoperto, mi chiamò dicendomi che avevano dubbi sull’autenticità dell’opera e così mi ridiedero i soldi. Il tutto ha avuto inizio vent’anni fa».

N.C.: Perché puntare sulla fotografia o non sulla pittura o sulla scultura?

E.M.: «Il mio ingresso poco felice nel mercato fotografico non mi ha scoraggiato, ma ho iniziato ad acquistare solo fotografia; ne ero attratto e in quegli anni pochissimi la compravano in Italia. A Milano all’epoca c’era una sola galleria di fotografia, Photology, ed ho iniziato ad avventurarmi in questo mondo senza una particolare conoscenza specifica della materia».

N.C.: La fotografia è arte o un altro genere di arte come disse Man Ray?

E.M.: «Per me, ormai, non ci sono dubbi che la fotografia debba essere considerata tale; è un mezzo diverso dalla pittura, ma comunque arte visiva; il dubbio che c’era, ormai è stato completamente superato ed è stata inglobata nel mercato primario, ed è dimostrato che nelle arti e nelle fiere essa appare a pieno titolo come la pittura e la scultura. In più, forse, la fotografia è l’arte di questo secolo, perché le avanguardie artistiche  hanno lasciato il passo a questo medium che rappresenta l’evoluzione di questo secolo».

Il collezionista Ettore Molinario circondato da alcune opere della sua collezione
Il collezionista Ettore Molinario circondato da alcune opere della sua collezione

N.C.: La sua collezione punta più sugli artisti storicizzati o contemporanei?

E.M.: «Sono tutti fotografi dalla metà del 900 in avanti, tranne alcune chicche del 1920-30; una collezione che, in linea di massima, parte dal 1950 andando in avanti. Io amo la fotografia un po’ in tutti i suoi aspetti, ma oggi come oggi ritengo che lo storico sia più interessante rispetto al contemporaneo, in quanto ci sono ancora moltissimi artisti, sia italiani che stranieri, che vanno riscoperti. Sul contemporaneo in questo momento vedo un grande caos, c’è questa tendenza di fare fotografia da parte di tutti, ma spesso senza artisticità, soltanto amatoriale o, come le definisco io, da cartolina. Nella mia collezione sono tutti artisti del Novecento, ma tutti nomi affermati come Cindy Sherman, Robert Mappelthorpe, Vik Muniz, tutti nomi della generazioni che va dagli anni 70-90. Artisti internazionali ed affermati. Poi ce ne sono alcuni contemporanei, ma rappresentano una parte abbastanza limitata, sono un po’ le scommesse, quegli acquisti fatti perché l’opera ti piace, ma non c’è tutto questa sicurezza che si può avere con degli storicizzati».

N.C.: Come decide quali opere acquistare? Segue la testa o il cuore?

E.M.: «Io ho un processo per acquistare che si articola in tre punti: inizialmente deve essere un acquisto di pancia, istintivo, guidato da un’identificazione che io provo nei confronti dell’opera o nel suo contenuto. Questo significa che riconosco nell’opera delle parti di me, della mia vita, anche se capita che questa immedesimazione non sia subito chiara, ma provo questa sensazione iniziale. Dopodiché, il secondo step è l’empatia con l’artista: se mi piace, e ho anche avuto la possibilità di conoscerlo, tutto questo agevola l’acquisto; infine  entra in gioco la parte razionale, quella finanziaria. Sto sempre attento, quando acquisto opere d’arte, a spendere bene i miei soldi: è sicuramente una componente fondamentale per me, cerco di spendere con delle garanzie. Diverso se compro artisti con un grande potenziale; di solito distinguo in tre insiemi: i blue chip artisti già affermati per cui comprando paghi caro, ma sai che stai acquistando un valore; poi ci sono gli artisti ad alto potenziale che possono essere sia storici che contemporanei, che non hanno ancora dimostrato di essere così apprezzati dal mercato, ma che sicuramente hanno le potenzialità. Per finire ci sono le scommesse, opere che ti piacciono ma si tratta di artisti poco noti e allora in questo caso trovo anche giusto darsi dei limiti nel budget».

N.C.: La sua è una collezione ragionata? Ha alla base un percorso preciso stabilito in precedenza?

E.M.: «Ovviamente sì».

N.C.: Cosa pensa del collezionare come mero affare economico?

E.M.: «L’aspetto economico è l’ultima considerazione da fare; potremmo dire che è necessaria ma non sufficiente. E’ importante che comunque ci sia un ragionamento dietro quell’acquisto perché non può basarsi esclusivamente sulla pancia, anche se è proprio da lì che parte tutto. Però credo dipenda anche dal tipo di opera che si va ad acquistare: se costasse tre, quattro mila euro potremmo basarci anche solo sulla pancia, se così non fosse ci starei più attento».

N.C. : Darebbe in usufrutto la sua collezione ad istituzioni pubbliche?

E.M.: «Assolutamente sì, questo credo sia una delle cose più importanti per un collezionista che l’ha creata anno dopo anno, pezzo dopo pezzo: sapere che potrà avere un futuro che vada al di là di te stesso. Se uno ha la fortuna di avere figli, o eredi interessanti, è un bene, ma nel mio caso non avendo eredi diretti il fatto di poterla dare in comodato, lasciarla a un’istituzione museali, sarebbe fantastico perché si darebbe la possibilità ad altri di fruire di questo mio percorso. Io però sono molto critico nei confronti dell’Italia perché le istituzioni pubbliche non hanno la sensibilità nei confronti del collezionismo privato che si trova in altri paesi del mondo. Qui ho la sensazione che lasciare o non farlo sia la stessa cosa, anzi se cedi c’è il rischio che non venga valorizzata. Se dovessi sognare un futuro per la mia collezione, purtroppo non lo vedo in Italia».

N.C.: Definisca con una parola la sua collezione e lei come collezionista

E.M.: «Io direi che la mia collezione è una rappresentazione di me nel tempo, in fondo compro pezzi di me, della mia storia, un diario della mia vita che ha tante tappe; è anche questa la ragione per cui faccio fatica a vendere, perché sarebbe come separasi da delle parti di me. La mia è una collezione melanconica, una buona fusione tra istinto di vita e morte».

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