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Perché l’egizio-bis è un’idea vincente

del

La questione è semplice: se c’è qualcosa di buono, allora è bene che si diffonda. Vale per le buone pratiche (che tanto sono care a chi lavora con la cultura), vale per le imprese (non a caso il modello del franchising ha creato un vero e proprio fenomeno di costume) e vale anche per i Musei.

Ci possono essere stati errori, è vero. Ma l’apertura del Museo Egizio a Catania non ha lo stesso odore del Louvre di Dubai. È un’operazione differente dalla quale musei grandi e piccoli del nostro Paese potrebbero prendere validi spunti.

Il primo: l’utilizzo dei depositi. Questa questione divide praticamente in due il mondo della cultura: c’è chi vuole che le opere presenti nei depositi vengano cedute e, in alcuni casi, vendute e chi, al contrario, ritiene i depositi il cuore pulsante dei Musei.

Questa tematica è talmente dibattuta che divide praticamente a metà non solo il nostro Paese, ma tutto lo scenario internazionale. In questo contesto, tuttavia, sono sempre più numerosi i report che indicano come critiche le condizioni di molti depositi museali: la diversificazione dei materiali delle opere con l’introduzione di nuovi materiali, l’effettiva obsolescenza di alcuni depositi dal punto di vista strutturale e la conseguente necessità di attività straordinarie di recupero dei locali e delle opere in essi contenute, sono solo alcuni dei punti che vengono posti all’attenzione dei decisori pubblici internazionali.

Pur non essendo questo il caso, è evidente che chi si oppone all’operazione “Catania” assume una posizione “conservativa”. Ma se tale azione conservativa si traduce in una pratica che può portare a potenziali danneggiamenti delle opere (anche in istituti museali di rilievo internazionale), allora è il caso di mettere in discussione le proprie certezze.

In secondo luogo il concetto di circuitazione: scegliere di valorizzare le opere custodite nei musei attraverso una circuitazione delle stesse è tutt’altro che una logica distruttiva.

Questo vale per il Museo Egizio, ma vale anche per tutti gli altri musei italiani. La circuitazione trova molti in disaccordo: ma è una pratica che, nel futuro, non è solo auspicabile; è necessaria.

Oggi, chi si oppone alla circuitazione dei depositi chiama in causa il rapporto che il Museo ha con la propria collezione, e dei rapporti territoriali e identitari della collezione in sé. Questa condizione non tiene conto però del fatto che, spesso, ci sono opere nei depositi che non hanno una relazione intensa con il territorio o con il Museo in questione. Soprattutto, in futuro, con l’estensione del mercato internazionale, sarà sempre più probabile che le collezioni dei Musei riflettano i cambiamenti “globali” dell’Arte e della nostra società.

In quel caso, tuttavia, non tutte le opere tuttavia potrebbero essere declinate secondo un allestimento scientifico rigoroso, a prescindere dalla loro rilevanza internazionale. Per assurdo, immaginiamo che Cattelan decida di donare una serie di opere ad un Museo Civico di un piccolo paesino del centro Italia. Cosa fare? Snaturare l’intera collezione o “trasferire” tali opere ad un costituendo Museo di Arte Contemporanea di un Paesino limitrofo?

Infine, un’ultima domanda: che ruolo ha l’arte nella nostra società? Il suo scopo non è anche quello di valorizzare la nostra cultura, divenire un motore di riflessione per persone che sono molto più attenti allo smartphone che ad un libro? L’arte e la sua esposizione non sono forse socialmente desiderabili anche per questo?

In che modo, un’opera invisibile se non agli addetti ai lavori, può davvero rappresentare una risorsa per la collettività? Per quello che gli economisti chiamano il valore di esistenza?

Ma un’opera (o un qualsiasi altro oggetto) assume tale valore soltanto quando qualcuno è almeno a conoscenza dell’esistenza di quest’opera, ed è questo il punto. Fuori dagli addetti ai lavori, quanti cittadini sono a conoscenza di tutte le opere presenti nei depositi dei Musei?

L’importanza di una collezione non è solo nelle sue “tele di punta”. Questo è chiaro. È altrettanto chiaro che i Musei devono conservare perché è nella loro mission istituzionale. Assumere una prospettiva ottocentesca però di certo non aiuta i nostri Musei ad evolvere con la società.

Tutto è fluido, in questo mondo: l’identità, la cultura, la residenza, i sogni. Le uniche cose che non vogliamo si spostino sono le opere dei Musei.

C’è solo un problema: che questo approccio, rimanda ad una visione cultuale, più che culturale dell’arte.

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