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Riscoprire gli anni Novanta per rilanciare l’arte italiana

del

Il Coronavirus ha cambiato radicalmente le nostre abitudini di vita e sta fortemente minando le basi della nostra economia. Tantissimi collezionisti, dal semplice appassionato d’arte a chi vedeva l’acquisto di opere esclusivamente come un’opportunità d’investimento, si trovano oggi con un valore della loro collezione potenzialmente inferiore a quello di solo un anno fa.

Non possiamo sapere se e quando questa emergenza sanitaria mondiale finirà, ma dobbiamo cercare fin da subito di trasformare questa tragedia in un’opportunità.

Senza soffermarmi sugli artisti delle generazioni precedenti, di cui lascio parlare gli addetti ai lavori più esperti del loro lavoro, mi piace concentrare la mia riflessione su quelli delle ultime generazioni. In particolare su quelli della “generazione anni ‘60”, ovvero i nati tra il 1960 e il 1970, dei quali da molti sono considerato tra i massimi esperti.

Le quotazioni, o meglio, il prezzo reale con il quale le loro opere vengono oggi scambiate se un collezionista/investitore si trova nella necessità di vendere, si è notevolmente livellato al ribasso, avvicinandosi molto a quello di Artisti che fino ad ora il mercato ci aveva fatto catalogare come “acquisti infelici” per il nostro portafoglio.

Oggi, sfruttando anche la “pausa” forzata imposta da quanto ci sta succedendo attorno, si potrebbe iniziare a studiare in maniera lucida e disinteressata tutti gli artisti di questa generazione, andando a riscoprire chi veramente ha valore da un punto di vista storico-artistico, rilanciandone il lavoro e percorso artistico.

Ci si potrebbe accorgere che il quadro che teniamo nella parete più nascosta, se non addirittura imballato, appartiene invece ad un artista che merita a pieno titolo di stare nella storia dell’arte (almeno) nazionale e ci si accorgerebbe che, in un sottobosco di artisti dai più dimenticati, vi sono ancor oggi degli uomini e delle donne che potrebbero contribuire a rilanciare l’Italia all’estero, appena la pandemia lascerà il posto alla vita.

Per fare ciò occorrerebbe che i critici d’arte mettessero da parte rivalità e personalismi e si aprisse un serio dibattito sullo stato dell’arte in Italia, in questo specifico caso, nell’ultimo trentennio.

Tantissimi appassionati d’arte si trovano oggi orfani di mostre e esposizioni e seguirebbero, senza dubbio, con estremo interesse ed attenzione questo processo di storicizzazione, che li potrebbe finalmente vedere spettatori attivi di un confronto pubblico, serio e trasparente, in cui si riprende a parlare di arte a prescindere dal mercato e dalle inevitabili speculazioni che gli ruotano intorno.

Ad oggi si possono contare sulle dita di una mano i testi che tentano una seria storicizzazione, in tema di belle arti e arti decorative in italia, del decennio 1990-1999 e ancora meno sono le mostre dedicate, nel tempo, a quegli anni in cui la società ha vissuto dei cambiamenti che hanno rivoluzionato il quadro geopolitico  e i cui effetti viviamo ancora oggi.

Vi sono stati critici – così su due piedi, senza voler far torto a nessuno, mi vengono da citare Gabriele Perretta, Luca Beatrice, Cristiana Perrella, Edoardo di Mauro, Saretto Cincinelli, Fabio Cavallucci e Demetrio Paparoni – che hanno vissuto sulla loro pelle la storia di quegli artisti e, in alcuni casi, sono letteralmente cresciuti insieme a loro.

In questo periodo di mancanza di fondi per i musei pubblici e di chiusura forzata, che non permette di organizzare mostre personali e/o collettive, alcune strutture appositamente dedicate al contemporaneo, e penso in primo luogo al Museo Pecci di Prato, potrebbero svolgere un’importante funzione pubblica, puntando tutto sullo studio e la valorizzazione delle loro collezioni, per essere pronti, al momento della riapertura, ad ospitare eventi di caratura internazionale che mettano a confronto l’arte degli italiani con quella dei loro coetanei stranieri.

E’ da troppo tempo che manca una Mostra che metta a confronto l’arte italiana con quella internazionale. Un tempo si diceva che solo confrontandosi con chi è più bravo di te si può crescere e si vedono realmente i valori in campo.

Il sistema italia è da troppi anni ingessato su se stesso, da troppo vive sulla sua autoreferenzialità. Tanti addetti ai lavori hanno preferito essere dei Maradona di provincia per il timore di potersi perdere confrontandosi, per l’appunto, con un sistema internazionale.

L’Italia dell’arte deve e può rialzarsi ancor più forte da questa crisi. Chi tanto ha dato,  ma ha altresì tanto ricevuto dall’arte contemporanea, ha oggi un obbligo morale di fare squadra per riscrivere la storia dell’arte più recente.

Non si dovrà procedere per lottizzazione, portando avanti i propri beniamini e le proprie idee in maniera partigiana, ma si dovrà andare a rileggere mostre ed esposizioni, a correggere i propri errori e le proprie scelte, con l’augurio che un dì questo lavoro possa vedere la luce in un Padiglione Italia alla Biennale, spero non più relegato all’Arsenale, ma visibile agli occhi del mondo ai Giardini.

Non è mai troppo tardi, si intitolava un programma condotto dal maestro Alberto Manzi andato in onda sulla RAI dal 1960 al 1968, guarda caso proprio il decennio in cui sono nati gli artisti della “Generazione anni ‘60”, attivi in particolar modo negli anni Novanta.

Speriamo che la cosa sia di buon auspicio e che questa mia idea possa concretizzarsi. Perché non solo darebbe nuovamente a tanti bravi artisti il posto che meritano, ma potrebbe dare ai Critici che li hanno seguiti, se sapranno fare squadra, un posto ancor più di rilievo nella storia dell’arte mondiale.

Roberto Brunelli
Roberto Brunelli
Forlivese, classe 1972, autore, critico d'arte e curatore di mostre, Roberto Brunelli è annoverato tra i massimi esperti della generazione anni ‘60 italiana ai quali ha dedicato “Anninovanta 1990-2015. Un percorso nell'arte italiana”. È inoltre coautore di “Investire in arte e collezionismo” e di “Chi colora Nanù?". Nel 2011 è stato tra i promotori di ShTArt - Manifesto del collezionismo 2.0 e della omonima mostra tenutasi a Milano.

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