In Italia, a differenza di quanto avviene all’estero, non esiste ancora un vero e proprio collezionismo di fotolibri d’artista. Eppure, questa particolare tipologia di opere offre numerosi vantaggi a chi ama la fotografia e vorrebbe mettere insieme una collezione importante. I vantaggi sono sia di tipo economico che conoscitivo, come ci spiega Roberto Maggiori, curatore e fondatore della casa editrice Quinlan che ha da poco pubblicato lo Zooforo Immaginato di Nino Migliori, libro d’artista interamente stampato in fine art su carta Fedrigoni Tintoretto Gesso con una tiratura di soli 180 esemplari, numerati e firmati.
Nicola Maggi: Come mai in Italia il collezionismo dei fotolibri d’autore stenta a svilupparsi?
Roberto Maggiori: «In primo luogo perché, molti acquirenti di fotografia non necessariamente sono dei collezionisti colti, appassionati delle diverse possibilità di questo medium, ma vogliono semplicemente arredare la propria abitazione con qualcosa di immediatamente riconoscibile, per cui vedono più di buon occhio un’immagine da appendere in bella evidenza piuttosto che un libro d’artista da relegare in una libreria, il cui valore di opera d’arte è oltretutto riconosciuto solo da pochi, per quanto raffinati, esperti. Va detto però che negli ultimi tempi si sta manifestando un interesse crescente per questo tipo di offerta che, limitando la tiratura, ci permette di proporre lavori di un certo livello».
N.M.: Eppure il fotolibro offre notevoli vantaggi sia in termini di fruizione che economici…
R.M.: «Vero. Nella mostra sul fotolibro d’artista, che ho curato insieme a Danilo Montanari per il MIA Fair di quest’anno, sono stati esposti libri che vanno dai 100 ai 6000 euro, per cui si possono trovare opere per tutte le tasche. Inoltre esistono varie tipologie in grado di soddisfare anche chi intende esporre le opere in casa, come nel caso dei libri composti da foto estraibili per cui, se lo si desidera, le si può appendere e in un secondo momento reinserirle nel libro».
N.M.: Il fotolibro, peraltro, permette anche di approfondire la conoscenza del lavoro di un determinato fotografo…
R.M.: «Tra le caratteristiche specifiche del fotolibro c’è il fatto che spesso i fotografi hanno lavorato più per la sua realizzazione che non per la mostra in cui poi gli scatti vengono esposti. Questo fa sì che il libro d’artista sia la destinazione “naturale” di molti di questi progetti fotografici, mentre la sola esposizione in galleria diventa spesso limitante perché viene meno la sequenza narrativa originale che si ritrova solo nel fotolibro e consente di ripercorrere tutto il processo che ha portato allo scatto famoso. Se si conosce invece solo quest’ultimo si perde gran parte del significato dell’opera. Il libro fotografico aiuta quindi la corretta comprensione del lavoro dell’autore e integra l’esibizione “a muro” della fotografia, d’altronde, è una sorta di esposizione portatile che permette di sfogliare, così come l’autore l’ha pensata, tutta la sequenza. Non dobbiamo dimenticare che il lavoro fotografico si sviluppa essenzialmente per via processuale e relazionale, caratteristica, quest’ultima, che emerge anche nel sodalizio tra fotografo ed editore».
N.M.: Come si è evoluta, nel tempo, questa particolare tipologia di opere?
R.M.: «Fino a qualche tempo fa si facevano perlopiù le cosiddette cartelle, all’interno delle quali si inseriva una serie di fotografie numerate non solo in termini di tiratura, ma spesso anche di sequenza. Poi ci sono stati i libri che, per esser definiti “d’artista”, hanno richiesto una particolare attenzione dell’autore e del tipografo o dell’artigiano incaricato della realizzazione. Un esempio è Dadathustra (1976) di Paolo Gioli, che abbiamo esposto all’ultima edizione di MIA. Si tratta di una pubblicazione particolare perché, al suo interno, si trovano immagini tratte da lavori di Gioli, come le Fotocomposizioni e i Fotofinish, tradotti in litografie, tutte numerate e firmate, con la possibilità di estrarle dalla rilegatura del libro. E’ il tipico esempio di libro d’artista che può essere fruito come libro vero e proprio o come opera a muro. Ci sono altri autori che optano per la legatura “aperta”, come nel caso de La Cura (Quinlan 2012), libro d’artista di Mario Cresci composto da dieci vere fotografie stampate su fogli di carta Hahnemühle di 63 x 44 cm. (tiratura di 8 + 2 p.d.a.), o quelli che preferiscono una rilegatura particolare come la cosiddetta leporello (ne ho viste di molto belle realizzate da artisti come blisteZine), che consente di esporre l’intero libro semplicemente appoggiandolo su un mobile, oppure opere sontuose come Il magico giardino di Ludwig Winter di Nino Migliori, con la legatura fatta a mano di polaroid inserite in passepartout con spessori fra ogni pagina, come nei volumi del Settecento. Se aggiungi poi che in questo caso le polaroid sono trasferite su lamine d’oro e la copertina è in piombo inciso a mano, capisci subito che ti trovi davanti a un opera unica. Ci sono poi anche libri in cui le fotografie sono stampate in bianca e volta, quest’ultima soluzione è realizzabile solo di recente grazie all’introduzione sul mercato di carte fotografiche che hanno la possibilità d’esser impresse su entrambe le facce e che permettono quindi all’autore di pubblicare un libro “classico” composto non da immagini tradotte tipograficamente, ma da fotografie vere e proprie stampate fronte retro, rilegate a mano. Un esempio di questo tipo è il libro che abbiamo fatto con Michele Buda in una tiratura di 49 copie, intitolato One Day in Berlin. Le opzioni quindi sono tali da concretizzare al meglio la poetica di ogni autore che oltre alla rilegatura, alla qualità di stampa e alla scelta della carta, è generalmente molto attento alla grafica, arrivando creare con il grafic designer una collaborazione che può svilupparsi durante l’arco di un’intera carriera. Infine un accenno sulle tirature: esistono i pezzi unici, le tirature limitate – come nel caso dello Zooforo Immaginato di Nino Migliori appena stampato in 180 esemplari, numerati e firmati – e le edizioni più ampie che vengono proposte con prezzi inferiori. In ogni caso, per una convenzione generalmente accettata, un libro d’artista per essere tale non dovrebbe superare le 500 copie di tiratura.».
N.M.: C’è poi il Dummy, una sorta di anticamera del libro d’artista…
R.M.: «Il Dummy è un libro realizzato da un autore sconosciuto che si auto produce e propone al pubblico il proprio lavoro perché magari non ha ancora trovato uno spazio espositivo o un editore. E’ un tipo di produzione stampata in digitale e abbordabile economicamente, se non altro per le pochissime copie realizzate. Spesso viene utilizzato per partecipare a dei concorsi, che oggi sono anche molto importanti, tramite i quali un autore può essere lanciato. Se il Dummy vince un premio autorevole, oltre al riconoscimento arriva spesso anche l’editore e, di conseguenza, la possibilità di ampliare il pubblico ed essere più credibili agli occhi degli addetti ai lavori. Stiamo pubblicando proprio in questi giorni double bind il primo fotolibro di una giovane autrice che si chiama Allegra Martin, avrà una tiratura di 70 copie ed è la rielaborazione di un libretto auto prodotto realizzato per il First Book Award, concorso per Dummy accessibile solo su invito. Diciamo che il Dummy è la porta di ingresso al mondo della fotografia d’autore».
N.M.: Gli artisti consolidati accettano volentieri l’invito a realizzare un libro d’artista?
R.M.: «Non sempre, si tratta di un lavoro impegnativo che può coinvolgere l’autore per un periodo anche lungo. Molti comunque amano confrontarsi almeno una volta in una sfida come questa, in cui si instaura con l’editore una vera e propria simbiosi, anche se l’ultima parola spetta naturalmente all’autore. Per quanto riguarda il mio lavoro a stretto contatto con gli artisti posso aggiungere che si crea un rapporto di fiducia e di intesa totale, a volte riesco persino a trovare nei loro studi magnifici libri d’artista realizzati anche trenta o quaranta anni fa, finiti dimenticati in qualche scaffale, che riesco poi a portare alle Fiere nello stand di Quinlan, oltre naturalmente alle edizioni realizzate nell’ultimo decennio appositamente per noi».
N.M.: Chi volesse avvicinarsi al fotolibro d’artista dove può reperire le informazioni necessarie?
R.M.: «Sfortunatamente in Italia la pubblicistica è molto scarsa, per cui non è facile avere una mappatura di questa particolare produzione. Anche nelle fiere d’arte il fotolibro d’artista ha un ruolo ancora piuttosto marginale, per non parlare delle gallerie dove si preferisce proporre quasi sempre le sole fotografie, meno problematiche da produrre e realizzare, e vendibili a prezzi più gratificanti. Di fatto il punto di riferimento principale, almeno nel nostro Paese, è il settore dell’editoria indipendente dove dal marasma generale degli ultimi anni, dovuto al boom del digitale, stanno emergendo giovani realtà interessanti come i già citati blisterZine, Skinnerboox, o le amiche di 3/3. Per quanto riguarda il libro d’artista composto, o contenente, vere fotografie firmate e numerate – se parliamo soprattutto di artisti storicizzati – case editrici come la Quinlan o Danilo Montanari, si occupano da tempo di questo tipo di produzione. Infine, per toccare con mano questa particolare produzione editoriale, consiglio di visitare le fiere internazionali dedicate al libro d’artista. Le più importanti sono Off Print, che si svolge in novembre a Parigi, contemporaneamente a Paris Photo, o l’omonima rassegna allestita alla Tate Modern di Londra a maggio. Oltre oceano vanno ricordate la NY Art Book Fair che inaugura il 18 settembre negli spazi del MoMA PS1 e, sempre a cura degli stessi organizzatori, la LAABF che si svolge a Los Angeles tra gennaio e febbraio».