Il 18 maggio riaprono i musei e luoghi della cultura. A Verona, tra gli altri, riaprirà Palazzo Maffei, il seicentesco palazzo che si affaccia su Piazza Erbe scelto dall’imprenditore veronese Luigi Carlon per l’esposizione al pubblico della propria collezione d’arte. Si chiama Casa-Museo di Palazzo Maffei ed è il risultato di un lavoro coordinato di restauro dell’antico palazzo cittadino e di adattamento e predisposizione degli spazi alla nuova funzione museale. La messa a punto del nuovo spazio è stata realizzata in sinergia con Gabriella Belli che ne ha curato il progetto espositivo.
Luigi Carlon non ha una storia da collezionista alle spalle, si è fatto da solo, si può dire, frequentando amici pittori che negli anni sessanta lo hanno introdotto al mondo dell’arte moderna indirizzandone gli interessi e, viene da pensare, consigliandolo nei primi acquisti. La sua collezione conta oggi più di 350 opere che spaziano dall’arte antica a quella contemporanea con frequenti incursioni nell’arte decorativa e nel design e un occhio di riguardo per l’arte locale.
L’impressione che si riceve visitando le sale del museo è di una passione collezionistica piuttosto ampia e trasversale che forse per questo pecca, almeno nelle prime sale, di un eccessivo eclettismo.
E’ tuttavia nella parte relativa all’arte moderna – vero fulcro della raccolta – che s’intuisce qualcosa del vero spirito della collezione. Nella bella sequenza di sale dedicate a secessione, avanguardie internazionali e arte del secondo dopoguerra, si avverte chiaramente la passione compilativa di Carlon per il periodo delle grandi rivoluzioni formali, da Picasso a Fontana.
Posto nella classica situazione della torre e dell’opera da salvare – lo si ascolta nell’intervista con Gabriella Belli – Carlon risponde con sicurezza che salverebbe Picasso. Si capisce: maturando una propria e autonoma conoscenza dell’arte moderna, per via di progressivi e non sempre agili passi, egli deve aver spontaneamente maturato un’intima predilezione per l’artista che più di ogni altro ha saputo incarnare lo spirito del novecento, padre di tutti i cambiamenti e sempre coerente con se stesso.
L’allestimento ripercorre la passione collezionistica di Carlon a ritroso: apre con l’arte antica collezionata più di recente e chiude con le opere di Burri, Fontana e Manzoni tra i primi acquisti dell’imprenditore veronese. Inizia come Wunderkammer che fonde antico e moderno e termina con un allestimento spiccatamente museale che ordina per movimenti e affinità di contesto: esattamente il contrario dell’esperienza collezionistica di Carlon, inizialmente indirizzato e guidato secondo i tracciati più tradizionali e, immaginiamo, autonomo e libero collezionista solo avanti nel tempo e dopo un certo periodo di apprendistato.
Il risultato finale è di un certo effetto e i capolavori non mancano: Mercurio che passa davanti al sole di Giacomo Balla, piccola e discreta versione tascabile del grande dipinto della Collezione Mattioli per anni esposto presso la Collezione Peggy Guggenhein; un notevolissimo Paesaggio urbano del 1921 di Mario Sironi proveniente dalla collezione di Margherita Sarfatti, nel novero delle migliori opere della collezione; due splendidi Casorati esemplificativi di due distinti periodi dell’artista piemontese; De Chirico con una bella piazza d’Italia che pur lascia un po’ interdetti sulla datazione – il dipinto dice 1912 mentre il cartellino 1934; un notevolissimo Alberto Savinio e, immancabile in una collezione incentrata sull’arte italiana come come la presente, un bel Morandi con una natura morta degli anni venti.
In alcuni casi oltre ai pezzi da cento, si apprezzano anche gli accostamenti: Casorati vicino a Sironi, stranamente, si rispondono molto bene, con due diverse visioni della plastica scultorea, nel primo ancora legata a stilemi secessionisti, nel secondo portata su un piano di ricostruzione novecentista; Boccioni con una Veduta di Venezia in stile divisionista vicino a Medardo Rosso mette in rilievo la visione al contempo scientifica e fenomenica della luce nelle ricerche germinali del Futurismo; la celeberrima sedia di Rietveld di fronte a un omaggio al quadrato di Albers; e poi ancora Magritte vicino a De Chirico, accostamento un po’ da manuale ma sempre di gran effetto, così come Guttuso che fronteggia Vedova in una sempre viva rivalità tra astrazione e realismo.
L’allestimento su modello di una moderna Wunderkammer con accostamenti che seguono libere analogie e confronti, sollecita il visitatore verso gli apparentamenti più favolosi. Direi anzi che più se ne vedono e più ne vengono in mente: così il Ferro spezzato di Spagnulo sarebbe curioso vederlo vicino all’opera in vetro di Michelangelo Sassolino, l’Omaggio al quadrato di Joseph Albers potrebbe stare vicino all’Achrome di Manzoni e di Twombly piacerebbe vedere la copia del Picasso che fa parte della collezione Carlon: un raro dipinto che il pubblico ha potuto ammirare esposto alla mostra l’Image volè alla Fondazione Prada nel 2016.
E’ il bello della Wunderkammer viaggiare (anche) con la fantasia! Direi anzi che è proprio della wunderkammer sorprendere, e cosa c’è di più sorprendente dello scovare analogie inconsuete, del combinare liberamente opere tra loro diverse che poste fuori della rigida catalogazione da museo assumono un inaspettato valore atemporale.
La chiusura non può che essere un augurio di buon lavoro e buona fortuna per questo nuovo spazio, visti i tempi non proprio benauguranti che stiamo vivendo. Oltre a un lavoro in sinergia con le altre istituzioni del territorio, in particolare con la vicina Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, c’é da augurarsi che Palazzo Maffei continui a esprimere il senso della wunderkammer, non arrendendosi all’attuale allestimento ma rinnovando la dialettica tra le opere, intrecciando il più possibile artisti e periodi storici per far si che qualcosa di sempre nuovo e inconsueto filtri nelle trame della storia.