Nel 1827, Joseph Nicéphore Niépce si reca alla Royal Society di Londra per presentare la sua scoperta che lui chiama ancora Eliografia ma che, di fatto, è passata alla storia come la prima fotografia: un’immagine di fabbricati e di tetti adiacenti la sua abitazione, Le Gras, a Saint Loup deVarennes, vicino a Chalon sur Saône, ripresa dopo un’esposizione di circa otto ore effettuata con una camera oscura posizionata davanti a una finestra.
Oggi conservata presso la Gernsheim Collection dell’Harry Ransom Humanities Research Center dell’Università del Texas, questa prima fotografia è data per persa per più di un secolo, ossia fino al 1952, quando è stata ritrovata da Helmut Gernsheim che la data, appunto, 1827, grazie ad una annotazione presente sul retro dell’immagine in cui si legge: «Il primo risultato ottenuto spontaneamente dall’azione della luce da Mr. Niepce. Chalon sur Saône. 1827. Il primo successo dell’esperimento del Signor Niépce di fissare in modo permanente un’immagine dalla natura». Autore di questa iscrizione è Francis Bauer, il contatto del fotografo e ricercatore francese in Inghilterra a cui viene affidata l’immagine durante il soggiorno per la presentazione alla Royal Society. Un’annotazione fondamentale per la datazione e l’attribuzione che farà Gernsheim ma anche per la stessa storia della fotografia.
Questo aneddoto ci fa capire quanto i “segni” presenti su una fotografia possono essere rilevanti per chi si interessa di questa arte e, magari, vuole diventarne un collezionista. Quando si decide di comprare una fotografia, infatti, deve essere sempre attentamente valutata la presenza o meno, su di essa, di firme, iniziali, timbri o la loro assenza. Per alcuni artisti, infatti, può essere molto importante come un’immagine è stata firmata. Se pensiamo, ad esempio, alle foto di Edward Weston, pietra miliare della storia della fotografia a cui si deve l’avvicinarsi di questa arte al linguaggio delle avanguardie di primo Novecento, il loro valore può oscillare anche di diverse migliaia di dollari a seconda che siano firmate o meno. Per altri fotografi, in particolare quelli europei attivi tra le guerre, invece, la presenza o meno della firma incide decisamente meno sul loro valore. Le stampe tarde non firmate, realizzate dopo la morte di un artista, inoltre, possono esporre il collezionista ad un alto rischio di frode o di speculazione, perché non ci sono garanzie sul numero degli esemplari presenti sul mercato e, molto spesso, sono solo delle cattive imitazioni degli originali. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che nella maggior parte dei casi, la miglior garanzia che un’opera fotografica mantenga il suo valore è che sia una stampa vintage, firmata e rara. Ancora una volta, dunque, è difficile dare una ricetta precisa ma è necessario valutare caso per caso e questo mette ancor più in evidenza la necessità, da parte del collezionista, di avere un buona preparazione.
Detto questo, prima di analizzare i vari “segni” che si possono trovare sul verso o sul recto di un’immagine, voglio ricordare che la loro presenza è bene che sia documentata fotograficamente ai fini assicurativi e per il ritrovamento delle opere in caso di furto o smarrimento, secondo quanto stabilito dallo standard internazionale per la descrizione dei beni culturali Object ID, elaborato nel 1993 dal J. Paul Getty Trust, lanciato nel 1997 e oggi adottato dalle principali forze dell’ordine, tra le quali FBI, Scotland Yard e Interpol.
Per questo, quando si osserva un’opera fotografica in una galleria e si sta decidendo se acquistarla o meno, conviene sempre vedere anche il retro della foto, a costo di farla smontare: non accontentatevi di quello che vi viene detto, verificate sempre tutto!
Le firme
Come per la pittura o per la grafica d’arte, anche nella fotografia ha preso piede, in modo ormai consolidato, l’abitudine da parte dell’artista di firmare i vari esemplari. Un modo per “rivendicarne” la paternità ma anche per garantirne l’autenticità. Ma dove si trova la firma? Se avete passeggiato per una fiera o per una mostra di fotografia, adesso, molto probabilmente, vi starete chiedendo come mai non avete visto la firma dell’autore sulle foto esposte. La risposta è molto semplice: se alcuni fotografi firmano la propria opera in basso, proprio come fanno i loro colleghi pittori, sono invece la maggioranza quelli che preferiscono apporre la propria firma sul retro dell’immagine, assieme alla data e alle eventuali indicazioni relative al titolo dell’opera, alla serie. Usualmente firma ed informazioni vengono scritte a matita, e questo a fini conservativi, ossia per evitare danni futuri all’opera.
Talvolta, la firma e le informazioni di cui abbiamo appena parlato, possono essere applicate sull’opera (o sul passepartout se non addirittura sul retro della cornice) con un’etichetta in cui vengono riportati anche i dati della galleria. E’ un’abitudine recente ma che sta prendendo sempre più piede tra gli artisti.
I Timbri
Anche se non mancano artisti che timbrano a secco, o in modo tradizionale, le proprie opere – in Italia possiamo citare, ad esempio, i Readymade di Maurizio Galimberti – l’abitudine di applicare il proprio timbro sulle opere appartiene più allo stampatore o al montatore che non all’artista. Ma viene utilizzato anche dalle Agenzie o dalle Fondazioni che curano l’opera di artisti ormai scomparsi. Non è raro, inoltre, che sul retro delle fotografie siano presenti timbri che rimandano a collezioni private o pubbliche a cui le opere sono appartenute in passato. Il timbro non sostituisce la firma o l’etichetta ma, normalmente, vi si affianca riportando dati ulteriori e relativi, appunto, al soggetto che l’ha apposto.
Le Annotazioni
Cosa dire, infine, delle annotazioni… dovendone fare un elenco per tipologia probabilmente non basterebbe un libro. Sul retro delle fotografie (ma anche sul davanti) se ne trovano di tutti i tipi: dalle dediche, tipiche delle stampe Vintage, all’indicazione del titolo, passando da dichiarazioni di intenti a note che hanno tutto il sapore degli appunti di viaggio, in cui è descritta la genesi di uno scatto, fino ad indicazioni tecniche – come la dicitura “Fotografia non manipolata al computer” che applica Gianni Berengo Gardin – o di destinazione d’uso, come quella che si trova dietro la celebre fotografia di Robert Capa del soldato lealista che cade in punto di morte durate la guerra civile spagnola, sul cui si legge: «Robert Capa // Not for Reproduction».
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