In vista del quarto appuntamento del ciclo ARTE:FACTS, organizzato da Banca Sistema e dedicato a “Il collezionismo fotografico tra arte e realtà”, che si terrà in Corso Monforte 20 a Milano il prossimo 24 febbraio, abbiamo incontrato due dei protagonisti dell’incontro – Guido Bertero, uno dei maggiori collezionisti italiani di fotografia, e Chiara Massimello, Photographic Curator e Consultant di Christie’s Italia – per un intervista doppia su collezionismo fotografico, fotografia e mercato italiano. Iniziamo, quindi, con Bertero, il più grande custode di opere del Neorealismo italiano: la sua collezione, che conta oggi circa 2000 fotografie, racconta l’Italia post bellica e della ricostruzione attraverso le immagini di molti autori italiani e di alcuni stranieri. Alla sua voce, come detto, si unisce quella di Massimello, esperta, curatrice ed appassionata di Fotografia.
Massimiliano Monnecchi: Quando ha iniziato a vedere la fotografia come qualcosa da collezionare?
Guido Bertero: «E’ stato nel 1998, in due occasioni distinte. La prima fu ad Artissima di Torino dove acquistai le mie prime 2 fotografie per farne un regalo alle mie figlie. Fu però la necessità di approfondire l’argomento, da fotoamatore quale ero e da collezionista quale sono, che mi condusse alla seconda e decisiva occasione in cui acquistai circa trenta fotografie di Enrico Pasquale, storico fotografo de L’Unità e testimone del periodo bellico e post bellico in cui la mia generazione è cresciuta. Da quel momento la mia ricerca, e la conseguente collezione che ne è nata, si è focalizzata sul Neorealismo dei fotografi italiani. Arrivai solo dopo a ricercare gli autori stranieri, che ritrassero il nostro Paese negli stessi anni, cogliendo l’opportunità offertami dalla vendita degli archivi di stampe fotografiche del Time – Life. Posso dire di essere diventato un vero “collezionista di fotografia” solo dopo aver finanziato nel 1999 un festival in Spagna dedicato al Neorealismo italiano. Per quella occasione ho girato in lungo ed in largo l’Italia, conoscendo, apprezzando e comprando le opere di autori che ne erano stati testimoni».
M.M.: Cos’è la Fotografia per lei, cosa rappresenta?
G.B.: «E’ testimonianza, soprattutto. Ogni fotografia acquistata è legata ad un ricordo, una testimone, appunto, di momenti, spesso intensi ed emozionanti, vissuti scoprendola e condividendone la sua storia ed il significato. La Fotografia non è l’argomento principale ma il mezzo che mi ha permesso di vivere questa forma espressiva e sociale, mischiandomi col suo variegato mondo».
Chiara Massimello: «Penso che la fotografia sia testimonianza, come dice Bertero, ma è anche Arte. Esiste la fotografia che documenta ed esiste la fotografia artistica. E’ comunque creare arte attraverso il mezzo fotografico e diventa tale se l’atto finale di una produzione artistica si risolve con la Fotografia, al pari di altre espressioni artistiche».
M.M.: Esiste ancora una distinzione tra Arte e Fotografia?
C.M.: «Direi che questa distinzione sta sparendo. Finalmente la Fotografia viene sempre più spesso esposta in ambienti/spazi sinora a lei preclusi e trattata al pari delle arti maggiori. Lo si può notare anche sfogliando un catalogo d’asta o visitando mostre più complesse. Il problema sostanziale finora è che la Fotografia si è sempre sentita “figlia di un dio minore”, in Italia soprattutto perché non vi è una sua storicizzazione, cosa che è già avvenuta in altri Paesi tradizionalmente più legati alla Fotografia come forma artistica ed espressiva».
G.B.: «Sono convinto che il problema sia legato anche alla frustrazione degli stessi autori che spesso non sentono riconosciuta la propria opera in quanto “semplice fotografia”. In parte questa distinzione è indotta anche da chi compra fotografia però»
M.M.: C’è il rischio, dunque, che diventi una forma rappresentativa del collezionista e non dell’autore? E’ questo che intende?
G.B.: «Quello dipende da chi colleziona. Di collezionisti non ne esistono tanti, anche se la fotografia è più intuitiva, immediata, rispetto ad un dipinto o ad una scultura ed anche il suo costo lo evidenzia: per questo motivo spesso si utilizza più facilmente una fotografia per riempire una parete. Ma questo non vuol dire essere un collezionista».
C.M.: «Spesso qualsiasi opera acquistata rappresenta chi la compra e la possibilità che diventi semplicemente “status symbol” esiste. Viviamo in periodo in cui si comprano icone, ed il rischio è di trasformare una nascente collezione in una raccolta di opere che abbelliscono semplicemente uno spazio, come una sorta di feticcio».
M.M.: Con quali criteri scegliete un’opera fotografica?
G.B.: «Quando compro una fotografia compio lo stesso atto di quando compro un’altra opera d’arte. La scelta è dettata dal proprio gusto e dalla ricerca, fatta di studi ed approfondimenti. Spesso avendo la possibilità di conoscere l’autore ne riconosco l’originalità e, se non possibile, ne valuto la sua storia, la sua origine e le appartenenze successive. Collezionando in particolare stampe vintage questi fattori sono determinanti per la valutazione e quotazione dell’opera».
C.M.: «Se non parliamo di fotografia storica, cioè fotografie o stampe degli albori della fotografia (‘800-‘900), la scelta è obbligata ad opere che hanno una riconoscibilità evidente, quali una certifica. In altri casi diventa garante dell’originalità la collezione o l’archivio da cui proviene la stampa. Come potrebbe essere la collezione Bertero».
M.M.: Cosa manca per un serio collezionismo in Italia?
C.M.: «Manca un’educazione sulla Fotografia e spesso manca una coscienza nei fotografi. Evidente è la questione della tiratura che non pretendo sia standardizzata ma che almeno rispetti dei criteri precisi, che si tramutano in differenze economiche rilevanti. Ne sono esempio fotografie diventate icone che, a seconda della dimensione o del supporto, hanno costi notevolmente differenti. Alla fine è lo scatto che rappresenta l’opera e non la sua materializzazione».
G.B.: «L’argomento delle tirature è sempre stato un problema per il collezionista, come la possibilità di conoscere le caratteristiche dell’opera (carta, metodo di stampa e formato). E’ anche vero che ogni autore è libero di scegliere un suo modo di divulgare e commercializzare le proprie opere, basta che ci sia una coerenza di metodo sin dall’inizio».
M.M.: Il sistema di gallerie ed esperti possono riempire queste lacune?
C.M.: «Stimo molto il lavoro che viene svolto da certi addetti ai lavori, essendo a loro volta degli appassionati. Quello che si nota è però la disomogeneità di costi di vendita tra autori a volte sconosciuti e quelli di autori riconosciuti e quotati, fatto che destabilizza spesso il potenziale acquirente. Riconosco anche la difficoltà delle gallerie di investire negli autori che poi magari fuggono per lidi più remunerativi quanto gli si presenta l’occasione».
M.M.: Parlando nello specifico delle Case d’Asta: come mai la Fotografia viene trattata per Autore e non, ad esempio, per genere o periodo storico?
C.M.: «E’ per via della caratteristica intrinseca della Fotografia che è, allo steso tempo, fotografia di documentazione, di ambiente, di moda, di ritratto, di concreto, etc E’ tante cose insieme, contemporaneamente. Quindi distinguendola per fotografo si riesce ad identificarne una specialità, il suo carattere. Immaginando la fotografia di un Capa sapremo che fa quel genere di fotografia, mentre una fotografia di Newton si identifica immediatamente come fotografia di moda».
M.M.: Cosa consiglierebbe, o non consiglierebbe, a chi vuol iniziare una collezione fotografica?
G.B: «Consiglierei di comprare qualcosa che lo tocca nel momento, anche se non rappresenta niente, e di non seguire la moda del momento. La differenza la fa poi la propensione estetica e/o culturale del collezionista».
C.M.: «Io vorrei consigliare, invece, di non avvicinarsi alla fotografia con l’idea di investire perché non è valutabile».
M.M.: Cos’è per voi più importante: preservare o possedere una collezione?
C.M.: «Secondo me è importante tramandare».
G.B.: «Possedere per tramandare, sono d’accordo con le parole di Massimello».