Se le case d’asta giocano, ormai, un ruolo fondamentale per l’andamento del Sistema e del mercato dell’arte contemporanea, le Gallerie d’arte rimangono il punto di riferimento principale per il collezionista o l’appassionato d’arte intenzionato ad acquistare delle opere. Conoscere il loro mondo, fortemente gerarchizzato, è quindi importante per tutti coloro che si avvicinano al collezionismo, perché permette di comprendere in modo più profondo le dinamiche che animano il Sistema del’arte contemporanea.
Per prima cosa è utile ribadire che le Gallerie possono essere attive sul mercato primario oppure solo su quello secondario. Molto più spesso, però, navigano in entrambe queste realtà, affiancando ai talenti emergenti o alle nuove opere di artisti ormai affermati la “rivendita” di opere già presenti da tempo sul mercato. Questo per rafforzare il proprio catalogo, attrarre più clienti e dare forza alla propria immagine.
La suddivisione tra Gallerista primario e secondario ci permette, però, una visione solo parziale di questo importante settore del Sistema dell’arte contemporanea. Più utile, per capirne la struttura, è fare una segmentazione che tenga in considerazione almeno altri due criteri: quello economico (fascia molto alta, alta, media e bassa) e quello geografico (mercato internazionale, nazionale e locale). Solo in questo modo, infatti, è possibile capire come il mondo delle Gallerie abbia una struttura piramidale, dove al vertice si trovano poche realtà, ricche e potenti, in grado di dettare i trend del collezionismo internazionale e, alla base, una serie “infinita” di piccole gallerie d’arte che, molto spesso, faticano a sbarcare il lunario. Si tratta di gallerie che operano nelle fasce più basse del mercato e che hanno un raggio d’azione poco più che locale.
Per rendere più chiaro questo panorama, prendiamo a riferimento la “classificazione” proposta da Donald Thompson nel suo libro Lo squalo da 12 milioni di dollari che, tra i tanti disponibili, è probabilmente uno dei più chiari e divertenti da leggere. Le gallerie che operano nella fasce più alte del mercato rappresentano circa il 3% di questo mondo e hanno fatturati annui che vanno dai 25milioni di euro in su. Sono quelle che Thompson chiama Gallerie di Brand, caratterizzate da un’ampia disponibilità economica, alleanze strategiche con altri mercanti, strette collaborazioni con critici e direttori di musei influenti, oltre ad avere ottimi contatti con i maggiori collezionisti internazionali che molto spesso si fidano ciecamente dei loro consigli. Presenti nelle principali capitali dell’arte (New York, Londra, Berlino, Parigi, Roma ecc.) e, talvolta, con sedi in più Paesi, questi galleristi di brand sono i veri guardiani del mercato dell’arte che fa notizia; gallerie in grado di influenzare, con le loro scelte (supportate da abili strategie di marketing), il mondo dell’arte contemporanea. Stiamo parlando di gallerie come Larry Gagosian, White Cube, Lisson Gallery, PaceWildenstein o Gladstone, tanto per fare degli esempi noti un po’ a tutti. La loro strategia economica è, in linea di massima, quella del controllo monopolistico o, più spesso, oligopolistico della produzione degli artisti di maggior successo che rappresentano, all’incirca, l’1% del totale degli artisti contemporanei esistenti. Questa strategia determina una difesa rigida dei prezzi, spesso molto alti sin dall’inizio.
Al di sotto delle Gallerie di Brand, una ventina in tutto il mondo, Donald Thompson colloca poi le cosiddette Gallerie Tradizionali, meno potenti e con meno disponibilità economiche, ma non per questo meno importanti: svolgono una fondamentale attività di scouting, individuando gli artisti che, potenzialmente, potrebbero avere un buon successo, li promuovono tra i collezionisti (principalmente a livello nazionale e locale), i critici e i curatori dei musei, organizzano mostre periodiche dei loro lavori e, in caso di riscontri positivi da parte del mercato, li portano nelle fiere d’arte minori e, col tempo, li promuovono anche attraverso gallerie tradizionali loro partner, ma attive in altri centri. Usando un parallelo calcistico, potremmo dire che nel loro insieme le Gallerie Tradizionali rappresentano il “vivaio” del Sistema dell’Arte contemporanea e, cosa fondamentale, è qui che i collezionisti più seri fanno i loro acquisti. Insomma, rappresentano il trampolino di lancio per la carriera di coloro che stanno per diventare i cosiddetti Talenti Emergenti. Un percorso, peraltro, non facile. Basti pensare che su 5 artisti individuati da una Galleria Tradizionale come potenzialmente di successo, 2 non saranno più seguiti da questa già dopo cinque anni dalla prima mostra, 2 raggiungeranno un successo molto limitato e solo 1, solitamente, riesce a “sfondare”.
Proprio per queste sue caratteristiche, l’apertura di una Galleria Tradizionale comporta, normalmente, un forte investimento iniziale, tanto che 4 gallerie di arte contemporanea su 5 falliscono entro cinque anni e, ogni anno, chiude il 10% delle gallerie affermate da oltre cinque anni.Anche per questo, la strategia di guadagno del gallerista tradizionale si basa, quasi sempre, sull’acquisire in conto vendita il maggior numero possibile di opere, così da perdere poco sugli artisti emergenti e guadagnare attraverso la vendita di nuovi lavori di artisti affermati, magari operando nel mercato secondario. Le Gallerie Tradizionali, generalmente, hanno sede nelle stesse città dove è possibile trovare le Gallerie di Brand e questo per un motivo molto semplice: è qui che il mercato gira maggiormente e dove i collezionisti sono abituati a fare i loro acquisti. Questo non vuol dire che non si possa aprire una buona gallerie in un centro minore, ma certamente avrà vita più difficile anche se oggi, forse, questo è un po’ meno vero, se si tiene presente che una Galleria realizza all’interno della propria sede solo il 44% delle vendite, mentre il 56% avviene attraverso altri canali: in fiera (36%); online (8%); privatamente (8%) o all’asta (4%).
In Italia tra le Gallerie Tradizionali più attente alle ultime tendenze internazionali si possono ricordare: a Roma la galleria di Gian Enzo Sperone, a Milano Christian Stein, Giò Marconi, Massimo De Carlo, Francesca Kaufmann, Guenzani, Emi Fontana, Raffaella Cortese, Monica De Cardenas, Marella Arte; a Torino e nell’area piemontese Tucci Russo, Giorgio Persano, il Castello di Rivara, Franco Noero, Guido Costa Projects. A Napoli Alfonso Artico, Lia Rumma (con sede anche a Milano), Studio Trisorio. A Brescia Massimo Minini e a San Gimignano la Galleria Continua.
Scendendol ancora di un gradino nella piramide del commercio artistico, nella “classificazione” di Thompson troviamo le Gallerie Commerciali che, normalmente, rappresentano artisti che non hanno attirato l’attenzione dei galleristi tradizionali o che non sono ancora pronti per il “salto di qualità”. Al di sotto di queste si collocano, poi, le Cooperative di Artisti e le Gallerie Negozio. Queste ultime sono strutture commerciali che affittano le loro stanze per mostre personali o collettive di giovani artisti in cerca di visibilità, oppure ad artisti che non hanno avuto successo e che non saprebbero, altrimenti, dove esporre. Gallerie Commerciali, Cooperative e Gallerie Negozio, normalmente, non ricevono recensioni e vendono molto poco situandosi nella fascia più bassa della piramide, rappresentando però, a livello internazionale circa il 40% di questo modo, con fatturati annui al di sotto dei 500mila euro.
Oltre che fortemente gerarchizzato, il mondo delle Gallerie d’Arte è quindi anche una realtà estremamente selettiva che, a livello internazionale, ha complessivamente un giro d’affari di 22.2 miliardi di euro con la fascia alta che, di anno in anno, guadagna sempre di più (nel 2012 è stato registrato un incremento medio di fatturato del 55%); e quella bassa che perde costantemente terreno: -17% tra 2011 e 2012. Questo ci fa capire come mai sulle riviste e sui quotidiani si senta parlare sempre degli stessi artisti rappresentati dalle solite gallerie: al di là della qualità artistica è, infatti, il gallerista che molto spesso fa la differenza e che determina il successo o meno di un artista. Promuovere il lavoro di un giovane talento, d’altronde, richiede ingenti somme di denaro che una piccola galleria di provincia non ha: oltre il 76% delle Gallerie attive nel mondo, d’altronde, si colloca nella fascia bassa e molto bassa del mercato. Ma tutto questo ci fa anche capire come mai, girellando tra le varie fiere d’arte minori (e non solo) si abbia spesso la sensazione di vedere un po’ sempre le stesse cose. Una dinamica che accomuna il Sistema dell’Arte contemporanea e il mondo della moda, dove le grandi griffe decidono le linee e i colori e gli altri, nella maggioranza dei casi, si adeguano, sperando di vivere di “luce riflessa”.