Dopo il periodo di fulgore artistico e di grande successo di mercato che ha accompagnato la carriera di Arman dagli anni Sessanta ai primi anni Novanta del secolo scorso, l’evidente sovrapproduzione di pezzi unici e di multipli — talvolta realizzati anche senza il suo consenso —, la ripetizione seriale di temi abbondantemente esplorati nei decenni precedenti, e poi ancora, dopo la sua morte, le consuete beghe tra gli eredi per la creazione di archivi e il rilascio di autentiche (forse non a caso sulla sua tomba l’artista si era fatto scrivere: Enfin seul): tutto questo ha pesato notevolmente sulla sua eredità artistica. Eppure Arman (Armand Pierre Fernandez, 1928-2005) è stato sicuramente uno degli artisti più importanti del Novecento. Esponente di spicco della cosiddetta École de Nice, poi membro del gruppo dei Nouveau Réalistes, Arman si inserisce storicamente nel momento in cui in tutto il mondo occidentale la produzione artistica dell’epoca iniziava a fare i conti col trionfo della società dei consumi e col fenomeno pervasivo della pubblicità.
Con diverse declinazioni, la Pop Art negli Stati Uniti, la Scuola di Piazza del Popolo in Italia, i Nouveaux Réalistes in Francia guardavano ai miti consumistici e a ciò che oggi chiameremmo logo, ora avallandone una presunta nuova esteticità, ora cercando una nuova figurazione ispirata ai miti massmediatici, ora reagendo con ironia o sarcasmo al Neue Kurs della società del boom economico postbellico. In questo contesto Arman ha negli anni mantenuto un ambiguo equilibrio di contestazione e fascinazione rispetto ai materiali sue fonti d’ispirazione, sottolineando in particolare il ciclo produzione-consumo-distruzione tipico della società capitalistica. Nascono così le accumulazioni di oggetti, le poubelles come accumulazioni di spazzatura, le inclusioni di oggetti nel cemento o in resina, le colères e i coupes con oggetti distrutti o sezionati, gli assemblages in cui l’ibridazione di oggetti di uso comune dà luogo a una sorta di fantascientifiche chimere.
I Nouveaux Réalistes proponevano «nuovi approcci percettivi al reale» (sono parole tratte dal loro manifesto costitutivo del 1960), dove il “reale” — in opposizione al lirismo della pittura astratta, come pure alla figurazione tradizionale e al “realismo socialista” dell’epoca — era rappresentato proprio dall’oggetto d’uso comune, utilizzato non come icona consumistica (come nella Pop Art americana) ma come mezzo per la creazione artistica tramite un sovvertimento delle sue funzioni e/o del suo senso (andando quindi oltre i concetti duchampiani di objet trouvé e di ready made — un’altra influenza storica era quella di Kurt Schwitters): nel caso di Arman, si ricordano ancora i cachets, ovvero i timbri a inchiostro con cui costruire (o obliterare) immagini, e le allures, in cui gli oggetti stessi venivano usati come timbri.
Sono poi da sottolineare due peculiarità, spesso sottovalutate, di Arman rispetto ad altri Nouveaux Réalistes, ovvero la grande abilità di disegnatore — testimoniata, oltre che dai disegni veri e propri, dai progetti per le sue sculture — e un sardonico umorismo che trapela in molti titoli delle sue opere (al Musée des Beaux-Arts di Bruxelles, ad esempio, c’è un’accumulazione di chiavi intitolata L’Harem del Crociato…).
Come dicevamo, sull’opera di Arman ha pesato una sovrapproduzione che ha raggiunto ritmi industriali a partire dagli anni Ottanta, anche per l’“incoraggiamento” di mercanti che hanno immesso opere prodotte in serie — sostanzialmente da una vera e propria factory di operai — indiscriminatamente su ogni mercato, incluse le televendite. Avida dollars, per riprendere l’anagramma fatto da André Breton sul nome di Salvador Dalí? In ogni caso, se è vero — come ha scritto qualcuno — che in Arte “l’unica involuzione è la reiterazione”, si può ben dire che l’ultimo quindicennio dell’attività di Arman non rappresenti la parte migliore della sua produzione o — tout court — che il discutibile lato dell’imprenditore abbia finito col non rendere giustizia all’importanza dell’artista. Non a caso il prezzo medio di un’opera di Arman in asta si aggira oggi sui 9.000 euro, mentre al momento della sua morte – avvenuta nel 2005 – era superiore ai 16.000 euro. Il suo attuale record d’asta è di 430.160 euro (buyer’s premium escluso), realizzato ad Hong Kong dalla scultura Baroquial battuta da Seoul Auction il 4 aprile 2016, ma per trovare un’altra sua aggiudicazione superiore ai 300.000 euro nel nuovo millennio si deve risalire al dicembre 2005 quando, presso Tajan a Parigi, fu realizzato un primo record con Quintet Mozart, opera del 1963 venduta a 363.928 euro.
L’ultima importante retrospettiva dedicata ad Arman risale al 2010, presso il Centre Pompidou di Parigi; in Italia sono passati più di quindici anni dall’ultima grande antologica a lui dedicata (anche se la presenza di sue opere in mostre tematiche è rimasta costante): per chi ama quest’artista è quindi da segnalare a Roma, a Palazzo Cipolla fino al 23 luglio prossimo, la mostra Arman 1954-2005 curata da Germano Celant (con Chiara Spangaro) e promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro in collaborazione con Marisa Del Re, Corice Arman e la Arman Marital Trust. Circa settanta opere in mostra, per la maggior parte di grandi dimensioni, che ben illustrano il cammino dell’artista delineato sopra: si parte da una grande sala con lavori del 2004-2005 che vedono strumenti musicali sezionati o distrutti — il segno iconico forse più conosciuto di Arman, che era figlio di una violoncellista dilettante e che coltivò una grande passione per la musica (per quanto possa sembrare strano…) — e, con un percorso à rebours, si arriva a un piccolo Cachet del 1954. Non vi sono grandi capolavori, anche se diverse opere sono indubbiamente notevoli: dal contrabbasso distrutto di NBC Rage (1961) allo Stoned Horn del 1974 (un’inclusione in cemento); dall’accumulazione di stampelle À Lourdes (!) del 1962 alla chimerica automobile Schmilblic (1990); al centro della sala iniziale spicca l’installazione proveniente dal Museo d’Arte Contemporanea di Lione Concerto for 4 pianos (1998) con quattro pianoforti sezionati “in progressione”.
Si tratta forse di una retrospettiva dedicata più a chi ama e conosce l’opera di Arman che a chi vi si accosti per la prima volta, ma speriamo che (assieme alla mostra di Emersions in svolgimento a Milano presso la Galleria Cardi fino al 23 giugno, che presenta un ciclo di lavori realizzati alla fine degli anni Novanta) contribuisca a riportare attenzione su questo artista al momento decisamente sottovalutato, la cui influenza sulle generazioni successive — vedere alcune opere esposte alla Biennale di Venezia attualmente in corso per credere — è peraltro molto più presente di quanto sia mai stato sottolineato.
[infobox maintitle=”Il mercato di Arman in breve” subtitle=”Francia, Italia, Norvegia e Stati Uniti sono, dal 2000 ad oggi, i mercati principali per le opere di Arman. Sempre presente in maniera massiccia nelle aste internazionali – ben 14.493 i suoi passatti in asta negli ultimi 17 anni – il suo mercato è caratterizzato oggi da un tasso di invenduto estremamente alto (attorno al 46-46%). A parte un periodo positivo tra il 2003 e il 2008, il suo mercato appare decisamente stagnante se non addirittura in calo. Con prezzi medi di aggiudicazione sempre più bassi: nel 2016, anno del suo nuovo recor d’asta, l’hammer price medio per una sua opera è stato di poco superiore ai 9.000 euro.” bg=”gray” color=”black” opacity=”off” space=”30″ link=”no link”]