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Parola al tecnico. L’intervista come strumento di conservazione (pt. 2)

del

Nel precedente articolo si è parlato dell’intervista all’artista come strumento per la conservazione delle opere. Questo è, per il mondo della conservazione delle opere d’arte contemporanea, forse uno degli aspetti più importanti: ogni artista ha tecniche sue e utilizza i materiali più diversi, ogni opera ha suoi significati nascosti e/o messaggi intrinsechi e tutte queste informazioni, materiale utile per il lavoro del conservatore, potranno essere ottenute proprio grazie al confronto diretto con l’artista. Tuttavia non sempre egli è ancora vivente o disponibile a rispondere alle nostre domande o, ancora, potrebbe non essere l’unica risorsa utile da interpellare.

Quale potrebbe essere un altro valido interlocutore? Oggi vi voglio presentare un diverso punto di vista, nato grazie alla mia collaborazione per il progetto L’Arte Povera e la sua trasmissione al futuro. Raccolta della memoria materiale e immateriale come strumento di tutela e conservazione delle opere di arte contemporanea condotto dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” in collaborazione con il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e il CRRI – Castello di Rivoli Research Institute.

Il progetto nacque nel 2017 dalla necessità di documentare la memoria materiale e immateriale legata alla produzione e all’esposizione delle opere del movimento Arte Povera, movimento artistico nato a Torino nella seconda metà degli anni sessanta del Novecento e raccoltosi attorno alla figura di Germano Celant.

Il Movimento si caratterizza, infatti, per la creazione di opere che presentano una forte componente processuale e teorico/concettuale, spesso si tratta di installazioni ambientali con un aspetto variabile (che si adatta nel tempo ai diversi spazi espositivi), e per le quali vengono utilizzati materiali non necessariamente scelti o pensati per durare. Ciò ha posto degli interrogativi dal punto di vista conservativo. Come fare a conservare questa processualità che è insita nel lavoro dell’artista stesso quando l’artista non ci sarà più? Come gestire le variabili espositive e le opere che cambiano volutamente nel tempo senza le precise indicazioni degli artisti del Movimento?”(https://www.artepoveradomani.it/il-progetto/).

La prima e naturale tendenza del conservatore sarebbe quella di stilare manuali e ricettari per la conservazione e l‘allestimento delle opere, sottoponendo gli artisti ad interviste infinite e riprendendoli ad ogni loro passo.

Tuttavia non è pensabile creare un prontuario per la riproposizione di un’opera in uno spazio che non sarà mai lo stesso né è sempre possibile applicare gli usuali strumenti conservativi ad opere che – per intenzione degli artisti – si modificano costantemente.

Il metodo messo a punto per il progetto è stato quindi quello di ripercorrere la vita delle opere dalla loro nascita a tutte le loro successive evoluzioni, allestimenti, movimentazioni, studiandole tecnicamente una per una. Non solo dal vivo e attraverso immagini e testi storici ma soprattutto raccogliendo la testimonianza di tutti i professionisti che nel tempo si sono imbattuti in esse o nell’artista.

Oltre all’artista sono stati intervistati, infatti, assistenti, restauratori, curatori, galleristi, allestitori, conservatori e storici dell’arte che hanno visto nascere le opere e nel tempo cambiare e che hanno vissuto l’esperienza degli artisti stessi da dietro le quinte aiutandoli nella realizzazione materiale opere, nella loro movimentazione e nell’allestimento ma soprattutto che hanno avuto modo di osservare le opere, ragionare sui cambiamenti e sulle soluzioni conservative e installative nel tempo.

Sono stati quindi raccolti in un’unica piattaforma documenti, fotografie, relazioni, racconti e suggestioni, con l’obiettivo di permettere al conservatore/allestitore/curatore di domani, in assenza dell’artista, di immergersi nell’opera comprendendone gli aspetti concettuali e mistici che hanno portato alla sua nascita, fornendogli altresì un bagaglio di nozioni tecniche, derivanti dal dialogo avuto tra l’artista e i suoi collaboratori intorno all’opera stessa.

Tornato a galla da questa immersione, il professionista di domani sarà in grado di interpretare meglio le intenzioni dell’artista, conservandone la memoria attraverso la corretta conservazione e allestimento delle sue opere.

L’intervista all’artista, quindi, è senz’altro lo strumento più efficace e più diretto ma non sempre è possibile e talvolta può non essere esaustivo da un punto di vista tecnico. Al contrario, i tecnici, gli allestitori e i curatori sono i soggetti che si sono confrontati con lui direttamente e per lungo tempo e che, pertanto, sono in grado di fornirci le informazioni utili ad avvicinarci all’essenza delle opere da un punto di vista tecnico, permettendoci di individuare le strategie conservative più adatte.

Ecco che diventa quindi importante, per la propria collezione, se non si ha a disposizione direttamente l’artista, raccogliere e conservare le relazioni di restauro, i cataloghi, le informazioni e le testimonianze fornite dai galleristi, dai curatori e dai tecnici che hanno lavorato con lui/lei. Questo permetterà al conservatore di avere una visione completa dell’opera utile per conservarla al meglio. Quali siano i materiali, quale il messaggio, quale l’intenzione, quale la storia…tutte queste informazioni renderanno completa la vostra esperienza ed efficace il nos15tro lavoro.

Sara Stoisa
Sara Stoisa
Conservatrice e restauratrice di dipinti e di opere di arte contemporanea freelance oltre all’attività di restauro si è specializzata nella curatela di archivi d’artista e nella gestione di collezioni d’arte private. Da diversi anni collabora con la Fondazione Centro Conservazione e Restauro dei Beni Culturali La Venaria Reale nell’ambito della documentazione e per progetti internazionali.
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