A quattro anni dall’ultima edizione realizzata, venerdì 22 luglio si è inaugurata a Pescara Fuori Uso, la rassegna d’arte contemporanea “inventata” nel 1990 dal gallerista Cesare Manzo e dall’Associazione Arte Nova (finissage il 3 settembre). Caratteristica peculiare di Fuori Uso — largamente ripresa e imitata in molte rassegne in Italia e all’estero — è sempre stata quella di utilizzare come spazio espositivo luoghi ed edifici per l’appunto dismessi, facendo a volte realizzare agli artisti invitati non solo installazioni site-specific, ma anche interventi diretti sul luogo espositivo. Talvolta la manifestazione ha favorito il recupero di questi luoghi, come è avvenuto ad esempio per l’ex distilleria-liquorificio Aurum (edizioni 1990 e 1995), divenuto in seguito un centro culturale polifunzionale (che tuttora conserva l’intervento realizzato da Getulio Alviani in uno dei corridoi della struttura).
Dal punto di vista artistico, Fuori Uso ha visto nel corso degli anni la partecipazione di gran parte dei maggiori artisti contemporanei (in alcuni casi fungendo anche da trampolino di lancio per qualcuno di essi): da Arman e Vautier a Boetti e Pistoletto, da Acconci e Kosuth a Spalletti e Richard Long, da Cucchi e Paladino a Beecroft e Cattelan. Mario Schifano, oltre a partecipare, disegnò più volte il manifesto della rassegna. Le quasi venti edizioni realizzate fino al 2012 hanno visto alternarsi come curatori, tra gli altri, Achille Bonito Oliva, Nicolas Bourriaud, Luca Beatrice, Giacinto Di Pietrantonio.
Proprio Di Pietrantonio, docente a Brera e direttore della GAMeC di Bergamo, è stato chiamato quest’anno a ridare vita (assieme a Simone Ciglia) alla rassegna, ospitata negli ambienti di un’ala dell’ex Tribunale di Pescara con il titolo: Avviso di garanzia. Al di là dell’immediato richiamo al luogo in cui si svolge la manifestazione, si tratta di un raffinato gioco di parole sulla forte idea di base della mostra: il confronto generazionale tra maestri e allievi. È stato infatti richiesto agli artisti invitati, tutti docenti in Accademie di Belle Arti italiane, di segnalare alcuni loro giovani allievi, le cui opere vengono esposte assieme a quelle dei maestri. Assieme ma non accanto, e questa è una delle idee vincenti di questa mostra: le opere sono allestite sui tre piani dello stabile con una cura per il confronto e, direi, un ritmo precisissimi, ma senza esplicitare chi sia allievo di chi (se non nel catalogo). Ne nasce un dialogo interessante e fecondo, a volte (non di rado) sorprendente, e come “elevato al quadrato”.
Abbiamo così, ad esempio, le opere di Italo Zuffi (1969, docente all’Accademia di Belle Arti de L’Aquila) Incentivi — dieci tele bianche con scritte lilla che recitano frasi come: Con un’opera di Italo Zuffi in omaggio un buono carburante o …in regalo un chihuahua ecc. — poste di fronte ai lavori connotati da forte ironia a sfondo sociale di Adrian Paci (1969, docente alla NABA di Milano). D’altro canto, lontanissime tra di loro nell’allestimento, l’installazione di Enzo De Leonibus (1955, anche lui docente a L’Aquila) L’equilibrista e il video del suo allievo Gioele Pomante (1993) Singolarità, condividono analoga stilizzazione ed eleganza pur nell’uso di media diversissimi.
Gioele Pomante, Singolarità, Video, 2015Molti i video in mostra, sia di maestri che di allievi: il più interessante forse Corpogonia di Sara Carraro (1993, “garantita” da Riccardo Benassi dell’Accademia di Bergamo), dove un effetto di anamorfosi computerizzata viene applicato a filmati al microscopio legati al nascere e svilupparsi della vita, col contrappunto di immagini del cosmo: un poema visivo sull’evoluzione, creazione e creatività dell’esistenza.
Mario Airò, Ierofania, 2011In totale 24 i docenti e 45 gli allievi invitati ad esporre: segnaliamo ancora, in particolare, le opere Ierofania di Mario Airò (1961, docente all’Albertina di Torino), Illiterate signature di Vedovamazzei (alias Stella Scala/Simeone Crispino, quest’ultimo pure docente a Torino), l’installazione Fuoco spento di Vincenzo Napolitano (1989, allievo di Crispino), Sotto la superficie, la verità della concretezza di Gianni Caravaggio (1968, docente a Brera), Senza titolo (#5W) di Simone Camerlengo (1989, allievo di Zuffi).
Degno di menzione anche il fatto che Marco Cingolani (1961, professore a Brera) abbia “garantito” per due suoi allievi del primo anno del corso di Pittura, entrambi quindi giovanissimi ma potenzialmente molto interessanti: Giulia Trivelli (1995) con Pentimenti, un lavoro su legno ispirato alle tecniche di modifica usate dai pittori “classici” sulle loro opere, e Alessandro Boscarini (1996) con Studio di cavaliere, una serie di “variazioni” su figure tratte da due dipinti di Paolo Uccello.
Questo Fuori Uso, assolutamente all’altezza delle migliori edizioni passate, può essere visto come un interessante panorama sugli orientamenti artistici delle ultime generazioni in Italia (ma gli artisti invitati sono di sette nazionalità diverse): uno “stato dell’arte” e una mappa per cercare di intuire le strade che i giovani artisti intendono percorrere nel prossimo futuro. Ma una mostra come questa sottintende soprattutto l’annosa questione: “si può insegnare ad essere artisti?”. L’impressione che si ricava dalla visita e dalle opere è che nella maggior parte dei casi i maestri (almeno questi maestri) incoraggino una creatività anche lontanissima dalla propria poetica, più che tendere a creare “cloni” della loro pratica artistica. In un testo del catalogo, Alfredo Pirri (1957, docente a Frosinone) dice una frase preziosa: «Il rapporto tra docente e studente è una sorta di rincorsa, dove l’importante è non incontrarsi mai». E d’altro canto decenni fa Fernando Pessoa scrisse: «Non si impara ad essere artisti; si impara però a saper esserlo».