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Immagini ignoranti e immagini innocenti. Masbedo e la guerra nei combat film

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L’immagine ignorante è anche innocente? Come dobbiamo leggere e interpretare le immagini della guerra, che oggi tristemente ci circondano? Un lavoro di Masbedo visto a Venezia riflette in modo fecondo su questi temi. Perciò li ho intervistati e questo è il nostro dialogo.

Maria Cristina Strati: Seguo sempre il vostro lavoro con grandissimo interesse, ma ho trovato di una straordinaria attualità il lavoro che avete presentato a Venezia, Pantelleria. Nel contesto dei fatti che stanno accadendo in questo periodo nel mondo, l’opera ha molto da dirci. Penso all’invasione russa dell’Ucraina, a situazioni come il massacro di Bucha, che è stato addirittura messo in discussione da alcuni. Vediamo la guerra attraverso le immagini che ci restituiscono i media. Perciò una riflessione sullo statuto dell’immagine come testimonianza di un’azione guerra è di un’attualità sconcertante…

Masbedo: “Sono felice che tu lo dica. Ti racconto come è nato il lavoro dall’inizio: siamo a Palermo, a Manifesta, in un locale, e una sera arriva una ragazza e ci parla del nostro lavoro, dice che le era piaciuto molto e ci chiede se siamo mai stati a Pantelleria. Noi di solito andiamo a Ginostra, nelle Eolie, ma non conoscevamo Pantelleria. Ora però scopriamo che c’è questa storia interessante connessa al cinema.

Durante la seconda guerra mondiale, a Pantelleria ci fu un bombardamento molto pesante e pochi giorni dopo questi fatti fu girato un film di propaganda. Il film fu girato facendo riesplodere le macerie. Questo fatto è sembrato abbastanza perverso… il tema della guerra è un tema difficile e l’idea del combat film girato sulle macerie, per di più a Pantelleria, l’isola che il duce vedeva come una propria roccaforte, ma i cui abitanti salutarono gli americani quasi con il sorriso.

I panteschi videro il loro paese distrutto una seconda volta a favore di telecamera, cosa che sembrò loro un’umiliazione incomprensibile. Per noi la cosa è suscita una serie di riflessioni. La domanda è questa: a livello concettuale, fino a che punto l’immagine può restare ignorante? Fino a che punto non è perversa, o addirittura può diventare offensiva? Fino a che punto lo spettacolo ha il suo diritto di esistere? Questo è il grande tema.

Masbedo, Pantelleria, 2022. Single channel video installation with stereo sound. Format 3024 x 840 pixel. Duration 18’49”. Site specific dimensions. Courtesy of the artists and In Between Art Film Foundation.Vista dell’installazione presso il Complesso dell’Ospedaletto a Venezia Foto: Andrea Rossetti

Il progetto nasce con una grande ricerca che abbiamo fatto sull’isola intervistando la gente del luogo, soprattutto gli anziani, e ascoltando le loro storie. Abbiamo fatto tantissime interviste, che non abbiamo messo nel film. Ci interessava presentarci alla gente dell’isola. In fondo eravamo due estranei che volevano raccontare una storia per loro ancora scomoda, perciò volevamo conquistarci un po’ il diritto di farlo, per essere credibili.

Abbiamo intervistato anche dei militari e loro raccontano tutta un’altra storia. Ti dicono che le case erano traballanti e dovevano essere distrutte per poter ricostruire, la gente era salva e così hanno approfittato per girare il film. Questa è la visione dell’esercito e ha un suo senso. Quello che colpisce è che però il film sia stato girato con la troupe. I registi che giravano questi combat film non erano semplici documentaristi, ma artisti del calibro di Frank Capra o John Ford. Erano dei giganti del cinema.

Il combat film doveva essere credibile, ma anche molto spettacolare, toccando il tema del sublime della guerra, il romanticismo che le è connessa. Gli americani erano molto consapevoli del potere delle immagini, ma quello che è pericoloso è la cura di quell’immagine. Perché è da cinema. Le inquadrature sono molto studiate, la musica è trionfale. Tutto è studiato e ciò è abbastanza incredibile. Oggi come oggi è impossibile non pensare che le immagini siano uno strumento di guerra, perché condizionano anche le idee, l’emotività che noi colleghiamo alla guerra.

L’immagine non è ignorante, ma carica di emotività. Ecco perché Pantelleria è un lavoro iper-contemporaneo, perché ti fa capire che l’immagine ignorante, l’immagine che non sa, è invece uno strumento potentissimo di condizionamento emotivo e psicologico. Pantelleria è l’ancestrale che viene dalla storia, ma tutto quello che avviene è molto attuale”.

I Masbedo: Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni. Vivono a Milano e lavorano insieme dal 1999, dedicandosi alla videoarte e alle installazioni

M.C.S.: …qui si aprono anche delle questioni filosofiche…

Masbedo: “Sì, sono questioni filosofiche, in cui rientra soprattutto il tema dell’etica. Bisogna chiedersi fino a che punto possiamo lasciare libera l’immagine, lasciarla lavorare nella testa e nell’inconscio delle persone. Perché anche quello è un atto di responsabilità, nel momento in cui noi abbiamo capito che l’immagine è un’arma e non solo un punto di passaggio nella comunicazione. Perciò il lavoro secondo me ha una componente verticale.

Faccio un esempio che è una piccola provocazione… a Pantelleria potresti girare un film di Guadagnino… ci sono paesaggi fantastici. Noi però abbiamo girato solo e unicamente dove la guerra è passata, nei bunker, nel paese, anche nelle parti meno belle esteticamente, ma appunto per questo è interessante. Noi, che veniamo da 23 anni di video e da una relazione privilegiata con il cinema in tutti i nostri lavori, abbiamo scelto invece di stare sul contenuto, di lavorare sul non spettacolo, di essere molto castrati esteticamente.

Abbiamo scelto di essere molto radicali, di avere un’impostazione fissa, scultorea, che includesse anche le immagini d’archivio del combat film e altre inedite, che vengono proiettate sulla Pantelleria contemporanea. Nella scena finale abbiamo deciso di proiettare sulla Pantelleria contemporanea l’immagine delle bimbe che cadono, quelle finte del combat film: come dire che l’inconscio, il fantasma c’è ancora nella testa dei panteschi, ancora esiste.

Quella immagine esiste. E quell’immagine lì non è diversa di quando vediamo il tank che va a distruggere quello russo, i bambini chiusi nei bunker a Kiev, siamo sempre lì. Pensa alle esplosioni, ai bunker, ma anche alle parole che usiamo e che sentiamo sulla guerra… nel film noi facciamo una traversata dentro il bunker di Pantelleria con la steady camera. Stiamo lì dentro sei o sette minuti, e tu lì capisci tante cose. Una delle cose che capisci è che la guerra molto spesso la si ascolta, non la si vede. Perché tutta la gente chiusa nel bunker sentiva il sibilo delle bombe, sentiva le esplosioni…”

Masbedo, Pantelleria, 2022. Single channel video installation with stereo sound. Format 3024 x 840 pixel. Duration 18’49”. Site specific dimensions. Courtesy of the artists and In Between Art Film Foundation. Vista dell’installazione presso il Complesso dell’Ospedaletto a Venezia. Foto: Andrea Rossetti

M.C.S.: È vero, chi vive la guerra da dentro il bunker la sente, ma non la vede, mentre l’immagine che testimonia la guerra la racconta. Qui si apre un problema etico legato all’immagine. Anche che va al di là della ragione o del torto, perché evidentemente l’Italia aveva bisogno di essere liberata dai fascisti...

Masbedo: “Esattamente, ecco perché ti dicevo che gli americani a Pantelleria sono stati accolti con i sorrisi, perché il popolo di Pantelleria non era un popolo fissato con il fascismo o che volesse difenderlo… Ma un’altra cosa interessante è che questo fu il primo esperimento di guerra fatta dall’alto. Gli americani conquistarono Pantelleria solo dai cieli, perciò fu un grande test per gli angloamericani. È una cavolata della storia, però è importante capire che a un certo punto anche i vecchi quando ci raccontavano, dicevano che loro da bambini giocavano e di colpo sentivano questi cieli che diventavano neri e scuri dalla polvere delle bombe. Capisci che siamo sempre lì. Dalle webcam in Ucraina vediamo le stesse immagini…”.

M.C.S.: Come dire che dall’immagine costruita del cinema a quella della realtà c’è una dialettica che rimane sospesa…

Masbedo: “Rimane sospesa e ti rendi conto che avevano ragione. L’immagine è necessaria. Oggi una notizia che non ha il video non è più una notizia, non interessa, ne hai bisogno. C’è una sorta di perversione in tutti noi che ci spinge ad andare a vedere la fognatura dell’immagine… perché più c’è scritto che si tratta di contenuti sensibili, che possono urtare, più molti di noi ne sono attratti. L’immagine è un po’ sempre bordata d’abbietto, come tutto ciò che è sublime. Il sublime è così. Pensa alla gente che rallenta in autostrada per guardare un incidente, c’è qualcosa di abietto. Quando eravamo in Islanda e il vulcano eruttava, quell’immagine era veramente potente, ma anche abietta perché piena di dolore. Questo fa il sublime. L’immagine sembra ignorante, ma è solo un’apparenza, perché l’immagine è invece profondamente emotiva e coinvolgente”.

Masbedo, Pantelleria, 2022. Single channel video installation with stereo sound. Format 3024 x 840 pixel. Duration 18’49”. Site specific dimensions. Courtesy of the artists and In Between Art Film Foundation. Still da video.

M.C.S.: Questo tema è affascinante. Parliamo della realtà o non realtà delle immagini e qui il vostro lavoro è cruciale. Ho molto presente gli studi di Didi Huberman, soprattutto il libro Images malgré tout, dove si interroga sullo statuto delle immagini scattate nei campi nazisti e si chiede se sia lecito trattarle come semplici immagini, in che modo vadano lette e interpretate. Credo sia questo un po’ il tema presente nel vostro lavoro, ed è un tema con cui tutti noi dobbiamo fare i conti, oggi. Noi non percepiamo la guerra nella nostra quotidianità, per fortuna, ma lo viviamo attraverso le immagini. Ma come sono queste immagini? Come dobbiamo prenderle e trattarle? In che modo raccontano la verità? Qui si apre un tema enorme… è merito del vostro lavoro aver portato a tema queste domande, anche solo per avere la consapevolezza che esiste un tema a questo proposito…

Masbedo: “Assolutamente. Poi il testo che accompagna il nostro video è di Giorgio Vasta, ed è un testo e una lettura, una voce che è volutamente anti-spettacolare. Non volevamo fare il cinema nel cinema, ma far parlare chi quella storia la conosce e l’ha vissuta. Il testo è in qualche modo estratto, nel linguaggio e nella sintassi, dai racconti che abbiamo raccolto. Poi il materiale è stato scritto, riscritto e ricamato in maniera superba da Giorgio, ma rispecchia sempre quello che era il sentimento dei panteschi.

Ad esempio nel passaggio del video all’interno del bunker il testo batte sui numeri, è molto preciso, ossessivo. È come se l’immagine ignorante, che lavora sui temi più emotivi e inconsci, in sé a volte ci fa mancare di un dato di realtà che è invece utile capire. Non basta immaginare il vissuto, dobbiamo rendere l’immagine meno ignorante perché denunci. Allora la esponi e la descrivi, e questo è un passaggio molto importante necessario.

In altri paesi europei la cultura delle immagini si studia a scuola e anche in Italia dovremmo forse pensare che inizia a essere necessario, oltre al senso civico, fare uno studio sull’immagine.Dobbiamo creareuna cultura dell’immagine, che aiuti a comprenderne i vari aspetti. Altrimenti viviamo solo l’immagine ignorante, che agisce solo a livello emotivo…”

M.C.S.: Come si dice, a livello di pancia, e non di testa o di cuore…

Masbedo: “Omar Calabrese diceva che l’immagine neobarocca colpisce a livello inconscio, la capiamo poco, ma ci trasmette un senso di ansietà. Noi dobbiamo andare oltre questa risposta ansiosa, ci dobbiamo avvicinare, fare un’analisi dell’immagine”.

M.C.S.: Qui si apre un altro tema, sulla guerra romantica, di cui ha invece scritto Hillman…

Masbedo: “Anche per questo gli americani chiamavano dei registi pazzeschi per i combat film. Ma noi oggi lo faremmo? Chiameremmo Sean Penn a girare un combat film? Hanno trovato anche i ciak, noi li abbiamo messi nei film… Poi io sono polemico e mi chiedo, dato che tutto questo un’affinità con il lavoro poetico c’è l’ha, se questo lavoro piace, ad esempio, a chi è lontano dalla cultura delle immagini. Per esempio, gli americani capiscono questo lavoro? In un momento barbaro come questo, dov’è tutte le cose devono essere orizzontali e linkabili, Pantelleria appartiene a un mondo diverso e verticale…”

M.C.S.: Come dire… la gente è disposta ad andare in verticale, approfondendo le questioni?

Masbedo: “Beh, pensa che oggi i ragazzini che fanno la trap hanno capito che l’unica forma di comunicazione è il video, e se hanno dei soldi li spendono lì. Non sono coscienti della potenza dell’immagine verticale, ma incredibilmente, a livello superficiale e quasi barbaro, ne intuiscono l’importanza. Tutto oggi è sbilanciato dalla parte dell’immagine filosofica e analitica di consapevolezza e tutto il resto…”

Masbedo, Pantelleria, 2022. Single channel video installation with stereo sound. Format 3024 x 840 pixel. Duration 18’49”. Site specific dimensions. Courtesy of the artists and In Between Art Film Foundation. Still da video.

M.C.S.: Didi Huberman si riferisce, tar gli altri, anche a Krakauer. Secondo Krakauer c’è anche un aspetto utile dell’immagine “costruita”. Krakauer fa l’esempio di Perseo e della Medusa: Perseo uccide la medusa perché la vede prima riflessa… l’immagine fa comprendere, allora, fa quasi da guida… si può pensare a qualcosa del genere?

Masbedo: “Per me l’immagine costruita ha senso, almeno in due modi. Il primo è il significato muscolare e fallico del combat film, che ha un senso di propaganda. Nel caso invece in cui si leggesse il lavoro in chiave più riflessiva, l’utilità è quella di dare un pizzicotto e suscitare una sorta di attenzione, di invitare a non passare indenni dall’immagine e pensare che le immagini sono importanti, parafrasando Nanni Moretti. Le immagini sono molto importanti e soprattutto per una generazione che le ha subite. Pensa alla moda. Pensa alla campagna di Oliviero Toscani sull’anoressia”.

M.C.S.: Ma vedere la storia riflessa nell’immagine davvero ci aiuta ad affrontarla, come fa Perseo nel mito è possibile?

Masbedo: “Forse sì, ma bisogna prima saper guardare. Anche il mito guarda. Il momento in cui guardi è il momento di maggior utilità, anche nelle immagini che si presentano come innocenti, ma non lo sono. Pensa alla relazione di follia di certa gente che magari è capace di scrivere cose terribili sui social sui bambini dei migranti e poi come profilo ha un gattino… In psicanalisi questa cosa è delirante, è segno di uno scarto… Il lavoro di Pantelleria riflette sul fatto che c’è da indagare e da denunciare l’immagine ignorante. Non bisogna stare alle regole dell’immagine ignorante, non bisogna vivere e godere dell’immagine ignorante e pensare che non sia un’arma. Non è così. Ti ricordi quando Pasolini diceva che nella natura umana c’è una sorta di poetica inconscia? La stessa cosa accade con l’immagine. L’immagine non va a colpire solo Pinotti o i grandi studiosi, ma anche chi non ha mai letto un libro…”.

M.C.S.: Anzi, in quel caso colpisce anche di più, perché non ha consapevolezza di ciò che vede…

Masbedo: “Esattamente, proprio perché la struttura ignorante lavora sull’inconscio, come diceva Omar Calabrese, lavora sull’ansietà, noi pensiamo che certe immagini passino, come quelle iper-artistiche, perché c’è una sorta di masturbazione della retina. Anche in Pantelleria c’è masturbazione della retina, perché le immagini della guerra sono sublimi ed entrano nell’inconscio, si fanno strada. Ci sono però anche immagini iper-poveriste, che non hanno nessun tipo di relazione con la retina, non ti agganciano, ma vanno dritte al punto. Non sono innocenti. A volte sono ignoranti ma non sono innocenti, e saperle leggere dovrebbe essere una materia a scuola”.

Masbedo, Pantelleria, 2022. Single channel video installation with stereo sound. Format 3024 x 840 pixel. Duration 18’49”. Site specific dimensions. Courtesy of the artists and In Between Art Film Foundation. Still da video.

M.C.S.: Mi viene in mente quanto dice Benjamin su Brecht e sul montaggio. Il montaggio a parte post serve anche a scompaginare il testo imposto. Ha la capacità di sovvertire, mescolando e lasciando venir fuori delle cose… Anche il tema del montaggio è molto presente nel vostro lavoro.

Masbedo: “È giustissimo quello che hai detto. Il montaggio è uno strumento molto importante per noi artisti, perché ti permette di mettere in risalto, giocando, i punti che ti interessano di più, per noi soprattutto a livello emotivo. Quando sentiamo che c’è da agganciare l’emotività, forziamo una serie di cose. Tipo che musicalmente succedono delle cose. Questo ci permette di non stare nella regola rigida. Come dici tu, è bello scompaginare, scoprire cose che magari a una prima lettura non avevi colto, e il montaggio ti permette di dare una dimensione più onirica. Se no finisci per fare il TG1. Il montaggio in ambito artistico è determinante: è il secondo modo di raccontare. Tu la storia la prendi da punti diversi, decidi dove vuoi porre l’attenzione…”.

M.C.S.: Ma anche nel servizio del TG1 c’è una scelta che ti fa privilegiare una lettura rispetto a un’altra…

Masbedo: Sì, il montaggio è una forma di scrittura, ci sono film che cambiano completamente con il montaggio. Ci sono film che partono e il montatore cambia tutto e dà una seconda impostazione di sceneggiatura. Il cinquanta per cento del film è montaggio, non a caso…

M.C.S.: E questo ha a che fare con tutto il nostro modo di approcciare la realtà, secondo me..

Masbedo: “Il montaggio è la dimostrazione del soggettivo di una storia. Perché in Pantelleria, in senso lineare, c’è una questione, il modo in cui viene raccontata la questione filosofica. Ma nel momento in cui la montiamo, c’è l’esposizione nostra, c’è la visione soggettiva che viene fuori. Quando noi decidiamo che la scena dei bunker dura sei minuti, la nostra è ovviamente anche una scelta esistenziale. Anche l’allestimento, nei nostri lavori, non è mai casuale. Il montaggio va inteso anche in quel senso lì. Il dispositivo non è a caso: il fatto che il dispositivo di Pantelleria sia un cinemascope lungo e stretto è voluto. Abbiamo pensato che dovevamo stare nel panorama della storia. Si doveva respirare quel tipo di linguaggio, collocandoci all’interno. È una scelta anche di montaggio”.

Maria Cristina Strati
Maria Cristina Strati
Maria Cristina Strati vive e lavora a Torino. Studiosa indipendente di filosofia, è critica e curatrice di arte contemporanea, nonché autrice di libri, saggi e racconti. Convinta che davvero l’arte sia tutta contemporanea, si interessa al rapporto tra arte, filosofia e quelli che una volta si chiamavano cultural studies, con una particolare attenzione alla fotografia.

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