Da giovedì 23 a domenica 26 novembre si è tenuta la terza edizione della fiera internazionale di arte moderna e contemporanea della Capitale italiana.
Ospitata nella meravigliosa sede della Nuvola di Fuksas, la fiera quest’anno ha ospitato 150 gallerie provenienti da tutta Italia insieme a qualche nome internazionale che si è aggiunto alla lista.
Con la curatela della storica dell’arte Adriana Polveroni e della direzione generale di Alessandro Nicosia, la fiera sta tentando di colmare un vuoto di proposta nella Capitale diventando il polo di riferimento del collezionismo dell’Italia del Centro e del Sud Italia. Quest’anno l’obiettivo è stato raggiunto?
Girando tra gli stand e dialogando con numerosi galleristi, l’impressione è che il pubblico romano non sia stato attratto dal secondo piano della fiera – ovvero quello chiaramente dedicato all’arte contemporanea – mentre si sia soffermato con grande entusiasmo di fronte agli stand per così dire “museali” e con una proposta più storicizzata e investimenti sicuri.
Un pubblico probabilmente non avvezzo alle proposte giovani, invece legato ad un immaginario da manuale, antico e costosissimo. Un pubblico che, in effetti, per i primi tre giorni ha faticato a raggiungere la Nuvola (spazzato via dal forte vento, forse?). Un pubblico che si è riversato interamente il quarto giorno, salvando sul finale l’impressione generale.
Timida anche l’esposizione del paese ospite, l’Australia, superata di gran lunga dall’imponente progetto su Alighiero Boetti gestito interamente dalla galleria Tornabuoni. Boetti che, per non sbagliare, è stato l’rtista portato a Roma da molte gallerie quest’anno, insieme ai grandi nomi romani come Schifano, De Chirico e Accardi che hanno invaso letteralmente il piano terra oscurando la percezione di nuove proposte.
Qualcosa di importante c’è stato, in questa esperienza romana, e vale la pena raccoltarlo anche a distanza di qualche giorno: meravigliosa la performance di Letizia Cariello Wind of change a cura di Adriana Polveroni: un filo colore del sangue e un ago che si muove tra le dita di un’artista. Ore e ore per ricucire una vela come metafora di una sutura profonda. Mai, come in questi giorni, una performance è riuscita a raccogliere la drammaticità del momento storico che stiamo attraversando. Perché lo sguardo dell’artista va sempre oltre.
Ma il pubblico l’avrà vista o ci si sarà semplicemente inciampato?
Insomma, i romani si sono lanciati su ciò che già conoscevano, sul moderno, ancora titubanti rispetto ad una fiera che è anche contemporanea, ma che ancora deve consolidarsi nei loro cuori. È anche vero che la concorrenza fieristica in Italia è grande, ma Roma ha dalla sua una location spaziale e grandi gallerie importanti che resistendo possono portare questo appuntamento a fissarsi nelle agende di tutti.